Riforma pensioni, più lunghi i tempi della quota 41: per il 2024 il governo guidato da Giorgia Meloni punterebbe con convinzione sulla previdenza integrativa e su nuovi lavori usuranti, tra i quali i potrebbero rientrare i portalettere. Lo stato di salute dei conti pubblici non è proprio brillante e la presidente del Consiglio dei ministri vorrebbe evitare attriti con Bruxelles, soprattutto per il riaprirsi della questione del Patto di stabilità e per gli investimenti attesi dall’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). In questo contesto, approvare misure di pensione anticipata che inciderebbero notevolmente sulla spesa previdenziale potrebbe essere azzardato. Quota 41 si farà, come misura flessibile di uscita dal lavoro, ma i tempi non sarebbero maturi, nonostante l’indecisione del governo se prorogare di un anno o meno l’attuale quota 103. Più facile che quota 41 vada a regime nella seconda parte di questa legislatura, spesa pubblica permettendo. Nella prossima legge di Bilancio il governo dovrebbe agire soprattutto sulla riduzione delle imposte dei lavoratori: in quest’ambito potrebbe trovare spazio anche la previdenza complementare dei fondi pensione con un nuovo sistema di deducibilità fiscale che possa invogliare i lavoratori all’adesione al “secondo pilastro”. Adesione che, peraltro, potrebbe essere facilitata da una nuova versione del “silenzio-assenso” in merito alla destinazione del Trattamento di fine rapporto (Tfr) dei lavoratori.
Riforma pensioni, quando entrerà in vigore quota 41
Si annunciano più lunghi i tempi per la quota 41, da quanto sta emergendo dai tavoli di riforma delle pensioni che si stanno svolgendo in queste settimane al ministero del Lavoro per rendere più flessibili le uscite dal lavoro e per andare incontro ai contribuenti rispetto ai rigidi meccanismi della legge Fornero. Per un investimento di così ampia portata (si stima una spesa pubblica di 9 miliardi all’anno della misura a regime), il governo guidato da Giorgia Meloni avrebbe bisogno di più tempo, probabilmente di oltre metà della legislatura. Numeri alla mano, la spesa previdenziale sta continuando a crescere negli ultimi anni: nell’ultima Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef), gli investimenti nella previdenza sono stati stimati a 297,3 miliardi di euro del 2022, con crescita per quest’anno a 320,8 miliardi e a 349,7 miliardi a fine 2025. La proporzione rispetto al Pil di quest’anno delle spese per le pensioni dovrebbe salire al 16,4% rispetto al 15,7% dell’anno scorso. Anche l’Inps non naviga in buone acque: dopo aver chiuso il bilancio in attivo nel 2022 per 1,8 miliardi di euro, quest’anno dovrebbe andare sotto di 9,7 miliardi. Numeri che sarebbero sotto la lente di ingrandimento della Commissione europea anche in chiave di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e di revisione del Patto di stabilità, due degli argomenti sui quali Giorgia Meloni non vorrebbe perdere terreno per non mettere a rischio dossier che, ad oggi, sono considerati più urgenti per la crescita economica.
Pensione integrativa e nuovi lavori usuranti: ecco le novità
Senza quota 41, le possibilità di uscita dei lavoratori precoci dovranno continuare a essere incanalate sotto rigidi paletti. Attualmente la quota 41 è possibile se il richiedente può dimostrato di aver lavorato e versato almeno un anno di contributi prima del 19esimo anno di età e di rientrare in una delle quattro condizioni fissate dall’Ape sociale (ovvero, essere disoccupato, caregiver, inabile al 74% almeno o lavoratore usurante). Tutti questi vincoli riducono l’uscita con 41 anni di contributi – a prescindere dall’età – a una piccola platea rispetto a quella dei circa sessantenni che, negli ultimi anni, si è formata e che, eventualmente, si è sfoltita per aver riparato su altre misure previdenziali. Come la quota 103 che, a parità di anni di contributi, impone l’età minima di 62 anni – per molti lavoratori un’attesa – e che per il 2024 non si sa ancora se il governo la confermerà o meno. Il lavoro dell’esecutivo potrebbe prendere due direzioni sulle pensioni: la prima è quella di puntare sulla previdenza integrativa, i fondi pensione. La prima agevolazione su questo canale consisterebbe nel rendere ancora più vantaggioso il sistema fiscale per chi opti di investire sui fondi complementari mediante una deducibilità più ampia; la seconda mirerebbe a proporre un modello rivisto di “silenzio-assenso” per la destinazione dei lavoratori della percentuale che incrementa, mensilmente, la futura buonuscita. Infine, si punterebbe ad ampliare anche il novero delle mansioni usuranti: da qualche settimana si ipotizza di farvi rientrare anche i portalettere che uscirebbero con la quota 96,7 frutto di un’età di 61 anni e sette mesi e di 35 anni di contributi versati.