Dimissioni record nel 2022: sono quasi 2 milioni 200 mila quelle registrate nell’anno di ritorno alla normalità dopo la crisi pandemica. Un aumento notevole pari al 13,8% rispetto al 2021, quando in totale sono state circa 1 milione 930 mila.
Dimissioni record nel 2022. I dati in comparazione
Sono tanti gli stravolgimenti avvenuti nel mondo del lavoro dopo l’avvento della pandemia di Covid, primo fra tutti l’aumento dello smart working e le diverse novità collegate e a seguire le dimissioni di massa. I dati della nota trimestrale sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro, diffusi ieri e relativi al periodo ottobre-dicembre evidenziano però un’inversione di tendenza.
In termini assoluti il numero delle dimissioni resta comunque molto più alto rispetto a quello riscontrato nei trimestri precedenti al manifestarsi della pandemia. Nel dettaglio, nel quarto trimestre 2022 le cessazioni per dimissioni superano di 86 mila unità quelle registrate nel quarto trimestre 2019. Nello stesso anno in crescita sono anche i numeri dei licenziamenti: risultano oltre 751 mila, in aumento del 30,2% rispetto ai 577 mila del 2021, periodo in cui era però in vigore il c.d. ‘blocco dei licenziamenti’ deciso durante il periodo di crisi acuta. Nel solo quarto trimestre dell’anno scorso se ne registrano 193.081 (-4 mila sul quarto del 2021, -2,3%) e, quindi si interrompe il trend di crescita annua dei licenziamenti rilevato a partire dal secondo trimestre del 2021 e collegato anche alla riduzione registrata nel periodo 2020-2021.
Scacchetti (Cgil): “Mercato del lavoro dinamico2
La segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti in merito a questi dati ha osservato come l’aumento delle dimissioni sia segno di una maggiore mobilità nel mercato del lavoro, anche se si deve capire se sono determinate da un passaggio a un posto di lavoro migliore o se avvengono anche senza una prospettiva.
“Questo dato non è chiarissimo nel nostro Paese. Dalle prime analisi si evidenziano comunque due fattori: dopo la pandemia più spesso si dà spazio a priorità diverse e si punta a cercare posti con un maggiore equilibrio tra vita e lavoro e con una maggiore soddisfazione professionale. La ricerca di migliori condizioni sia dal punto di vista retributivo che del riconoscimento della professionalità è un indicatore abbastanza positivo rispetto all’idea di non accontentarsi. Dunque c’è una maggiore mobilità del mercato del lavoro e una maggiore propensione a non accontentarsi. Il calo delle dimissioni negli ultimi tre mesi dell’anno potrebbe rispecchiare una congiuntura economica un po’ più negativa e un mercato meno attrattivo”.