Brusca inversione di marcia da parte dell’Ue sulla classificazione dell’energia nucleare all’interno delle fonti “green”. E’ quanto emerge dall’ultima bozza del Net-Zero Industry Act, la legge presentata da Ursula Von der Leyen lo scorso gennaio con l’obiettivo di contrastare l’Inflation and Reduction Act degli Stati Uniti e la potenza cinese in materia di transizione ecologica.
Una decisione che spiazza l’opinione pubblica alla vigilia di appuntamento importante per Bruxelles, che giovedì 16 marzo è chiamata a presentare proprio il Net-Zero Industry Act. Il principale contenuto del pacchetto è il target di produzione del 40% di energia pulita in Europa entro il 2030. Nella versione rivisitata ci sono anche altre modifiche, quali quelle legati ai pannelli solari, alle turbine eoliche, alle pompe di calore e agli elettrolizzatori.
Ue, il nucleare scompare dalle fonti green ma non in via definitiva
La notizia sorride eccome alla Germania, che sulla transizione green ha sempre avuto una posizione ambigua (vedasi la proposta dei carburanti sintetici per le auto. D’altronde è chiaro, ogni Paese (soprattutto quelli più forti rispetto alla disponibilità di materie prime) tira acqua al proprio mulino, per esempio la Francia sarebbe penalizzata da questo cambiamento.
Ma perché l’Ue vuole limitare l’impatto dell’energia nucleare? Ebbene, stando al documento aggiornato, il nucleare sarebbe ottenuto per via indiretta tramite l’idrogeno verde, altra tecnologia su cui si punta molto forte e su cui anche i vincoli normativi sono decisamente meno stringenti. C’è poi la questione degli obiettivi, dove Bruxelles ha un po’ perso la mano in termini di cifre. Le ultime note all’opinione pubblica sono le seguenti: 30 GW di produzione solare fotovoltaica, 36 GW di eolico, 31 GW da pompe di calore, 549 GW per la produzione di batterie e 100 GW di idrogeno. Tutto ciò entro il 2030.
La difficoltà è dunque bilanciare questa forte propensione “green” con la necessità di valorizzare l’industria esistente, o quantomeno di non dare troppo vantaggio ai competitor, ossia Usa e Cina. Il nemico da Washington è il già citato Inflation Reduction Act, un mastodontico finanziamento di 370 miliardi di euro per la produzione nazionale sul rinnovamento energetico, mentre Pechino ha “bisogno” di competenze e capacità industriali da sfruttare con la grande disponibilità di risorse.