Dopo la sentenza che ha assolto i cinque imputati per l’omicidio Mollicone, la 18enne di Arce uccisa nel 2001, la Procura di Cassino ha voluto fare chiarezza anche sulla possibile implicazione nel caso di Tonino Cianfarani, il muratore condannato a 25 anni di reclusione per il delitto di Samanta Fava, morto in ospedale nel 2020. L’esame del Ris avrebbe smentito un suo coinvolgimento: secondo gli esperti, le tracce rinvenute sul nastro usato per legare Serena non apparterrebbero all’uomo.
Omicidio Mollicone ultime notizie: negato il coinvolgimento di Tonino Cianfarani
Il possibile coinvolgimento di Cianfarani nel delitto di Serena Mollicone, scomparsa da Arce all’età di 18 anni e poi trovata morta in località Fonte Cupa, in un bosco del Comune di Isola del Liri, era stato messo in luce dai legali della famiglia Mottola, di cui tre membri – l’ex maresciallo Franco, il figlio Marco e la moglie Anna Maria – erano imputati per il delitto. Il professor Carmelo Lavorino, criminologo incaricato dal pool di avvocati della difesa, aveva infatti ipotizzato che, per modus operandi e tecnica di occultamento del cadavere, il muratore potesse essersi macchiato dell’omicidio, seguendo il modello che avrebbe poi replicato per Samanta Fava.
Nel 2013 l’uomo era infatti stato condannato a 25 anni di reclusione per aver ucciso di botte la 37enne e aver tentato di depistare le indagini con false testimonianze. Secondo le ricostruzioni, i due, che in passato avevano avuto una relazione, erano tornati a frequentarsi da amici dopo la separazione di lei con il marito; ma Cianfarani avrebbe voluto costruire con lei qualcosa in più di una semplice amicizia: per questo, non tollerando i “no” decisi della donna, l’aveva presa a pugni e calci fino a farla morire. Poi, non contento, l’aveva gettata dalle scale, mettendo il corpo in un sacco e murandolo nella cantina della sua abitazione. Tutto ciò nel Frusinate, la stessa area interessata dal delitto Mollicone.
Colpito da un malore mentre si trovava in ospedale, dove era stato trasferito per gravi motivi di salute, ottenendo i domiciliari, Cianfarani è morto nel 2020. Ma, secondo quanto emerso dall’esame del Ris sulle tracce rinvenute sul nastro utilizzato per legare Serena, almeno per questo delitto sarebbe innocente. Restano senza un nome, quindi, gli assassini della ragazza, uccisa da persone ignote, che l’avrebbero soffocata con un sacchetto di plastica, ostruendole le vie aeree, dopo averla tramortita con un colpo alla testa. A deciderlo è stata una sentenza pronunciata lo scorso luglio dalla Corte d’Assise di Cassino, che ha prosciolto dalle accuse i cinque imputati finiti sotto processo per il delitto.
Gli “esiti dibattimentali non offrono indizi gravi, precisi e concordanti sulla base dei quali possa ritenersi provata, oltre ogni ragionevole dubbio, la commissione in concorso da parte degli imputati della condotta omicidiaria contestata”, si legge nelle oltre duecento pagine di motivazioni presentate dai giudici del Tribunale di Cassino. “Come già ampiamente esaminato, numerosi elementi indiziari, costituenti dei tasselli fondamentali dell’impianto accusatorio del pm, non sono risultati sorretti da un sufficiente e convincente compendio probatorio”. Neanche la preziosa testimonianza di Santino Tuzi, che riferì agli inquirenti di aver visto Serena entrare nella caserma di Arce poco prima che ne fosse denunciata la scomparsa e poi morto in circostanze misteriose, è stata giudicata attendibile perché “entrambe le versioni offerte da Tuzi sono in ogni caso apparse anche alla luce delle registrazioni effettuate, contraddittorie, incerte, confuse e mutevoli, frutto di suggestioni, ricostruzioni dal medesimo effettuate sul momento, alla luce degli elementi che venivano via via offerti. In termini logici non convince, inoltre, il fatto che il medesimo non abbia alcun modo spiegato i motivi per cui avrebbe serbato il silenzio per sette anni in ordine a una circostanza così importante”. Dopo quasi 22 anni, quindi, l’omicidio resta un giallo.