Sono altri cinque, oltre a quelli già condannati nel febbraio 2021, gli agenti di polizia penitenziaria condannati per le violenze commesse all’interno del carcere di San Gimignano. Secondo il giudice del tribunale di Siena, i poliziotti sarebbero colpevoli del reato di tortura, falso e minaccia aggravata per aver pestato un detenuto di origini tunisine nel 2018, cercando di nascondere la verità dei fatti. Le pene disposte a loro carico vanno dai 5 anni e 10 mesi a 6 anni e 6 mesi. Ma la difesa ha già fatto sapere che procederà con il ricorso in Appello.

Carcere San Gimignano tortura: condannati altri cinque agenti

Dopo anni dai fatti, il tribunale di Siena ha inflitto pene tra 5 anni e 10 mesi e 6 anni e 6 mesi, a fronte dei 6 e 8 anni di condanna richiesti, per cinque guardie penitenziarie coinvolte nel pestaggio di un detenuto di origini tunisine all’interno del carcere di San Gimignano. Ad inizio 2021, altri dieci agenti erano già stati condannati per gli stessi motivi al termine del processo con rito abbreviato. I fatti risalgono all’11 ottobre 2018. Il tunisino, in carcere per scontare una pena ad un anno per reati di droga e furti, doveva essere trasferito da una cella ad un’altra dopo aver causato danni a quella in cui si trovava. Per questo era stato preso di mira dagli agenti. A parlarne era stato uno dei detenuti che avevano assistito alla scena.

“Ci hanno fatto assistere a un vero e proprio pestaggio – raccontava in una lettera scritta dal carcere -. Il detenuto veniva spostato da un’estremità dalla sezione all’altra a calci e pugni”. In molti, aveva spiegato, avevano iniziato ad urlare contro i poliziotti, minacciandoli di denunciare quanto accaduto, senza tuttavia riuscire a fermarli. Il detenuto, affetto anche da problemi psichici, era stato colto di sorpresa mentre si avviava alle docce e scaraventato per terra; poi, obbligato a rialzarsi, era stato di nuovo sbattuto sul pavimento, prima di venire immobilizzato a faccia in giù, mentre altri gli montavano addosso con il ginocchio sul collo.

Poi era stato trascinato lungo il corridoio, spogliato, pestato, fino all’ingresso della nuova cella, dove era stato lasciato nudo, senza materasso e senza coperte, fino al giorno successivo. Nel corso delle violenze, secondo quanto ricostruito anche grazie alla visione dei filmati delle videocamere di sorveglianza della struttura carceraria, gli avevano rivolto minacce e insulti razzisti, come “Perché non te ne torni al tuo Paese”, “Non ti muovere o ti strangolo”, “Ti ammazzo”. Un “trattamento inumano e degradante”, quindi: così il pm aveva giudicato il comportamento delle guardie nei confronti del 31enne. Per questo i cinque agenti erano stati rinviati a giudizio dal giudice dell’udienza preliminare, Roberta Malavasi, che aveva contestato nei loro confronti i reati di lesioni aggravate, falso ideologico, minacce aggravate, abuso di potere e tortura.

Reati che hanno ora portato alla condanna dei cinque agenti che, dopo la lettura della sentenza in aula, avvenuta dopo circa sette ore di camera di consiglio, sarebbero scoppiati in lacrime. Uno avrebbe urlato: “Vergogna”. “Ricorreremo in appello”, ha invece fatto sapere l’avvocato Manfredi Biotti, difensore di quattro dei cinque imputati. “Non comprendiamo quale è stato il ragionamento dei giudici ma ne prendiamo atto; vedremo le motivazioni e faremo appello, certo è un segnale molto brutto”, ha aggiunto. Dal canto suo, l’avvocato Michele Passione, legale del Garante dei detenuti, ha affermato, sempre dopo la lettura della sentenza: “Abbiamo sostenuto che il reato di tortura sia più grave quando è commesso dal pubblico ufficiale perché disegna un rapporto di potere che viene estorto tradendo la fiducia che ognuno deve avere nelle forze di polizia che sono nella massima composizione sane”.