Dove morì Virgilio e dove fu sepolto? Publio Virgilio Marone, noto semplicemente come Virgilio o Vergilio, nacque a Andes il 15 ottobre 70 a.C. E’ stato un poeta romano, autore di tre opere, tra le più famose e influenti della letteratura latina: le Bucoliche, le Georgiche e l’Eneide.
Dove morì Virgilio e dove fu sepolto?
Di ritorno da un viaggio in Grecia, Virgilio morì a Brindisi, il 21 settembre del 19 a.C. Il poeta si era recato in Grecia, forse per ricevere alcuni pareri tecnici sull’Eneide. Secondo i biografi morì per le conseguenze di un colpo di sole, ma non è l’unica ipotesi accreditata.
Prima di morire, Virgilio raccomandò ai suoi compagni di studio Plozio Tucca e Vario Rufo di distruggere il manoscritto dell’Eneide, perché, per quanto l’avesse quasi terminata, non aveva fatto in tempo a rivederla: i due però consegnarono il manoscritto all’imperatore, cosicché l’Eneide, pur recando tuttora evidenti tracce di incompiutezza, divenne in breve il poema nazionale romano.
Virgilio fu sepolto a Napoli sulla via per Pozzuoli. Qui, un ignoto appose quella famosa epigrafe che la tradizione avrebbe attribuito inevitabilmente allo stesso Virgilio : “Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc / Parthenope; cecini pascua rura duces”.
La tomba del poeta si trova a Napoli, in un piccolo parco sito alle spalle della chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, che si chiama Parco Vergiliano.
Un’area con un grande giardino che ospita dei monumenti importanti per la storia di Napoli la cui denominazione ha origine dall’attribuzione al poeta Publio Virgilio Marone del sepolcro romano che li si trova.
Nel parco c’è anche uno degli accessi alla Crypta Neapolitana, la antichissima strada che congiungeva la città di Napoli con la zona Flegrea e che arrivava a Pozzuoli, l’antica Puteoli.
Virgilio nella storia
Virgilio è indubbiamente il poeta più importante di tutto il periodo romano, tanto che la sua “Eneide” fu più volte paragonata e definita anche meglio dell’”Iliade” di Omero. Non appena uscì l’”Eneide” ebbe un successo clamoroso e Virgilio si guadagno il soprannome di Omero Romano. Egli divenne così il modello con cui ogni scrittore a lui successivo dovette confrontarsi obbligatoriamente.
Al di là dell’attenzione che gli riserva la tradizione cristiana, a partire dall’Alto Medioevo la forma e i temi affrontati dall’autore si rivelano un modello di riferimento quasi mitologico, ispirando autori del calibro di Francesco Petrarca (1304-1374), Ludovico Ariosto (1474-1533) e Torquato Tasso (1544-1595), mentre nella cultura popolare Virgilio viene intanto ritenuto un sapiente e un mago, pronto a proteggere l’identità e l’indipendenza della città di Napoli.
Emblematica della sua considerazione fra il Medioevo e il Rinascimento è specialmente la scelta di Dante Alighieri (1265-1321), ritenuto il padre della lingua italiana, di fare proprio di Virgilio la sua guida nel viaggio allegorico che compie nella Divina Commedia attraverso l’Inferno, il Purgatorio e poi (stavolta in compagnia di Beatrice) il Paradiso, cantiche composte rispettivamente in stile basso, medio e alto al pari delle Bucoliche, delle Georgiche e dell’Eneide.
Quando lo incontra per la prima volta, nel I Canto dell’Inferno, Dante si rivolge quindi a lui con devozione, per poi chiamarlo nel corso di tutta l’opera “maestro” o “duca” (ovvero guida, per l’appunto), e creando con lui un rapporto affettuoso e commosso, che ricorda sia quello fra maestro e discepolo sia quello fra padre e figlio.