Avrebbero dovuto presentarsi davanti al Gup di Roma il prossimo 3 aprile, per testimoniare al processo sulla morte di Giulio Regeni. Invece la premier Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, non ci saranno, perché il contenuto dei colloqui intercorsi con il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi, fanno sapere, “non è divulgabile”. È quanto si legge nella nota inviata dall’avvocatura generale dello Stato al giudice Roberto Ranazzi, che li aveva convocati su richiesta dell’avvocato che assiste la famiglia della vittima, Alessandra Ballerini.

Meloni e Tajani, chiamati a testimoniare al processo, rinunciano

È un giallo che va avanti da anni, quello che riguarda il rapimento e la morte di Giulio Regeni, il ricercatore friulano scomparso al Cairo e ritrovato martoriato in strada nove giorni dopo, con segni evidenti di tortura. È il 2016 e partono due indagini, una in Egitto e l’altra in Italia, a Roma, ma dal Cairo arrivano anche i primi depistaggi: dall’incidente all’omicidio passionale, fino allo spaccio di droga, sono tanti i moventi che le autorità egiziane provano ad affibiare al caso. Tutti inverosimili. L’inchiesta portata avanti da Piazzale Clodio si concentra, infatti, su una pista precisa: quella dei servizi segreti. Secondo i pm italiani, Regeni, che si trovava in Egitto per svolgere un dottorato sui sindacati di base egiziani per conto dell’Università di Cambridge, sarebbe stato torturato e ucciso perché ritenuto una spia. Sono cinque gli agenti iscritti nel registro degli indagati e ritenuti responsabili del sequestro del giovane. L’obiettivo dei magistrati italiani è portarli a processo. Ma i 007 sembrano essere scomparsi nel nulla.

Eppure, le autorità egiziane si dicono disposte a collaborare. L’ultima volta a fine gennaio, a sette anni dalla scomparsa di Giulio. È il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, a metterlo in luce, dopo un incontro con il presidente egiziano. Stando alle sue parole, Al-Sisi avrebbe garantito che il suo Paese avrebbe fatto “di tutto per eliminare gli ostacoli che ci sono e che rendono difficile il dialogo con l’Italia”, anche sul caso Regeni. Parole di un certo peso, che spingono la famiglia della vittima, che non ha mai smesso di cercare di fare luce sull’accaduto, a chiedere che il ministro e la premier Giorgia Meloni siano ascoltati in aula. Invito a testimoniare che i due avrebbero poi rifiutato, attraverso l’avvocatura generale dello Stato.

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Secondo il giudice Roberto Ranazzi, che aveva convocato Tajani e Meloni su richiesta dell’avvocato della famiglia Regeni, i due politici avrebbero dovuto spiegare, in particolare, la disponibilità a collaborare con le autorità italiane che il presidente egiziano avrebbe mostrato durante alcuni incontri istituzionali. Finché non saranno rintracciati gli agenti coinvolti, infatti, il dibattimento non potrà cominciare. Ma i due non si presenteranno in aula perché i contenuti di tali colloqui non sarebbero divulgabili. “Il contenuto dei colloqui si inscrive nell’abito delle relazioni di politica internazionale e riguarda attività svolta nell’esercizio di uno delle più rilevanti prerogative dell’azione di governo, nella sua più specifica accezione di politica estera”, si legge nella nota dell’avvocatura. E ancora: “La divulgazione dei medesimi contenuti senza il consenso dello stato estero interessato potrebbe incidere sulla credibilità nella comunità internazionale: il contenuto dei colloqui non è divulgabile», poiché «c’è un segreto che non può essere violato”.

“Ci aspettiamo che la premier Giorgia Meloni ci convochi per offrirci quelle risposte che non vuole dare in aula riguardo al suo incontro con Al-Sisi. È un passaggio necessario per arrivare alla verità sulla morte di Giulio. Ed è quello che ci stanno chiedendo moltissimi cittadini in queste settimane, mostrandoci come al solito la loro vicinanza e solidarietà”, hanno detto, dopo aver ricevuto la notizia del no testimoniare, Paola e Claudio Regeni a Repubblica, esprimendo il loro sconcerto. Anche perché la Presidenza del Consiglio, con l’avvocatura, è parte civile. “Gli avvocati dello Stato – proseguono – si sono costituiti il 14 ottobre del 2021 ufficialmente per stare nel processo a nostro fianco. E siedono fisicamente accanto a noi. Addirittura hanno chiesto un risarcimento per la perdita che lo Stato italiano ha avuto per la perdita di nostro figlio. E poi depositano a nostra insaputa una nota che, di fatto, impone al giudice di revocare la decisione di convocare Tajani e Meloni rischiando così di bloccare il processo. Chi aveva detto quindi che avrebbe combattuto al nostro fianco in realtà ci vuole impedire di avere un processo e quindi di avere giustizia. Questo ci addolora molto”.