Nel 2016 una paziente di 67 anni è morta a causa della somministrazione di troppi sedativi, da parte di un infermiere, 54enne all’epoca dei fatti, in forza al reparto di lungodegenza del presidio sanitario di Cervia, in provincia di Ravenna che oggi, per questo e per il reato di esercizio abusivo della professione medica è stato condannato a 2 anni e 10 mesi di reclusione.

Enrico Lombardi, questa l’identità dell’infermiere, nel corso degli anni, ha sempre negato di avere somministrato sedativi a quella paziente 67enne insonne poi deceduta.

Il pubblico ministero Antonio Vincenzo Bartolozzi aveva chiesto 3 anni e 6 mesi, alla fine però, il giudice Cosimo Pedullà ha messo in equivalenza aggravanti e attenuanti arrivando così a un diverso calcolo finale.

In quanto all’eventuale risarcimento, la richiesta provvisionale da 100 mila euro è stata respinta. Il danno sarà dunque quantificato dalla sezione civile del tribunale e in questo caso i diretti interessati, i familiari della donna defunta tutelati dall’avvocato Alessandra Fattorini e l’Ausl Romagna parte civile con l’avvocato Simone Balzani che sostituiva il collega Giuseppe Savini, dovranno promuovere una specifica causa.

Ravenna paziente morta per troppi sedativi: la testimonianza di un’altra infermiera

Il caso nel 2016, era arrivato sui tavoli del pubblico ministero Angela Scorza titolare del fascicolo in seguito ad una segnalazione interna.

Secondo le indagini, tutto era accaduto nella notte tra il 25 e il 26 Settembre 2016 sotto gli occhi di una testimone oculare, un’infermiera all’epoca 32enne, la quale in aula nel Novembre del 2021, durante il processo, aveva riferito che la paziente quella sera non riusciva a dormire e allora “lui aspirò il farmaco dalla fiala: io gli dissi di aspettare ma lui andò in stanza e somministrò in bolo. Mi disse che dovevo stare tranquilla, che di esperienza ne aveva”.

La 67enne, sempre secondo le parole della testimone, “si era addormentata, andava tutto bene”. Poi però non aveva “dato più segni” di vita. Il tutto in un “lasso di tempo tra le 22 e le 22.30”.

La testimone al processo aveva anche ripetuto di avere visto il collega “fare un’iniezione di Diazepam“, psicofarmaco conosciuto anche come Valium usato proprio per il trattamento di ansia, tensione e insonnia.

Inoltre, mentre la defunta, come disposto dalla dottoressa di turno, era stata attaccata al tanatogramma, (la registrazione elettrica dell’attività cardiaca), il collega “mi disse che aveva aggiunto anche Talofen“, un altro forte sedativo: “ma io ho visto solo il Valium”, ha concluso poi l’infermiera.

In quanto alla paziente, è stato riscontrato nel corso delle indagini che era segnata da diverse patologie ma “era lucida” tanto che “di lì a poco sarebbe stata dimessa”. Quella notte però, “non riusciva a dormire ma mi attenni alla terapia prescritta, una compressa di Halcion”, farmaco per il trattamento dell’insonnia, aveva più volte dichiarato l’infermiere.

È a quel punto che la teste aveva collocato l’arrivo in stanza dell’imputato il quale avrebbe usato queste parole con la degente: “Vuoi dormire? Se vuoi dormire, io ti aiuto”.

Da parte sua il 54enne, difeso dall’avvocato Massimo Martini, nel Maggio 2022 ha invece sostenuto in aula che in 32 anni di servizio aveva somministrato farmaci “solo dietro indicazione del medico o se prescritti dal foglio della terapia”.

La Procura di Ravenna, subito dopo i fatti aveva anche dato incarico di svolgere l’autopsia e gli esami tossicologici sui campioni di sangue prelevati dalla defunta per cercare di far luce su quanto fosse successo quella notte.

In quanto alla 67enne, che conosceva e con la quale “quando non dormiva, giocavo a carte”, aveva assicurato di non averle somministrato alcunché quella notte, ipotizzando che la donna potesse avere avuto con sé altre medicine o che addirittura potessero essere stati altri ad avergliele date. Nei prossimi giorni molto probabilmente si procederà con il ricorso in appello.