Risalgono al 2020 i fatti che hanno portato alla richiesta d’ergastolo nei confronti di Mustafa Zeeshan, il pizzaiolo di origini pakistane accusato di aver ucciso a botte la moglie incinta, lasciandola agonizzante per ore. Il corpo della donna era stato trovato all’interno dell’appartamento in cui la coppia viveva, a Versciaco, piccola frazione di San Candido, nella provincia autonoma di Bolzano e i sospetti si erano subito concentrati sull’uomo, oggi 40enne. Sono quattro le aggravanti che l’accusa gli contesta. La difesa si appella invece alla sua infermità mentale: secondo i legali che lo sostengono, ci sarebbe una correlazione tra il delitto e il suo disturbo del sonno.

Omicidio Versciaco: chiesto l’ergastolo per Mustafa Zeeshan, marito della vittima

È il 30 gennaio 2020 quando, all’interno di uno degli appartamenti per turisti di Versciaco, nel comune di San Candido, i carabinieri scoprono il corpo senza vita di una 28enne di origini pakistane. La vittima si chiama Fatima e, secondo la testimonianza del marito, Mustafa Zeeshan, connazionale di 38 anni che vive con lei nell’abitazione, sarebbe morta a causa di un improvviso malore. Una versione che, fin da subito, non convince gli inquirenti: il cadavere, rinvenuto sul letto, mostra vari segni di violenza. In particolare, si ipotizza che la giovane, all’ottavo mese di gravidanza, possa essere stata strangolata, morendo per asfissia. Nel corso dell’autopsia, i rilievi effettuati sulla salma della vittima permettono di accertare le responsabilità dell’uomo, arrestato con l’ipotesi di omicidio pluriaggravato. “L’ispezione cadaverica – si legge infatti su un comunicato diffuso dalla Procura – ha consentito di rilevare la presenza sul corpo della vittima di svariate ecchimosi, ritenute compatibili con un’aggressione violenta caratterizzata da calci e pugni. Il medico necroscopo ha quindi ricondotto l’evento luttuoso ad una morte violenta a seguito di percosse, probabile soffocamento con probabili lesioni interne cerebrali”. Risultati che non lasciano spazio a dubbi.

Il pubblico ministero, Sara Rielli, ha quindi chiesto per l’uomo il massimo della pena, l’ergastolo, contestandogli quattro aggravanti: non solo va considerato il fatto che la vittima fosse sua moglie, ma anche che sia stata uccisa in ambiente domestico, in stato di gravidanza e in condizione di minorata difesa. Secondo l’accusa, l’imputato avrebbe ripetutamente picchiato la vittima prima di soffocarla, lasciandola agonizzante sul letto per almeno dieci ore. Solo a quel punto sarebbero stati allertati i soccorsi che, una volta giunti sul posto, non avrebbero potuto far altro che constatarne il decesso. Inoltre, Fatima sarebbe stata costretta da tempo dal marito a vivere segregata in casa, senza poter mai uscire da sola, neanche per recarsi al supermercato. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, l’uomo, oltre a recluderla, non si sarebbe neanche preoccupato di prendersi cura di lei, non acquistandole il cibo necessario al suo sostentamento, a maggior ragione perché in gravidanza. Infine, sempre secondo l’accusa, l’imputato non avrebbe mostrato alcun segno di pentimento, cambiando versione dei fatti più di una volta. Motivazioni che giustificherebbero anche l’isolamento diurno per nove mesi.

La difesa punta sull’infermità mentale dell’imputato

La versione dell’accusa non convince i difensori dell’uomo, che puntano sulla sua infermità mentale. Per i legali, infatti, Mustafa sarebbe incapace di intendere e di volere a causa di un disturbo comportamentale del sonno, noto come Rbd, che, nel tempo, gli avrebbe provocato diversi squilibri mentali. Una tesi che l’accusa rigetta in base ai risultati delle perizie psichiatriche effettuate dai propri periti e per conto del giudice, secondo le quali, nonostante i suoi problemi, l’imputato sarebbe capace d’intendere. Sarà la sentenza da parte della Corte d’Assise di Bolzano presieduta dal giudice Carlo Busato e attesa entro sabato a stabilire quali siano le sue responsabilità e la relativa pena.