Si è avvalso della facoltà di non rispondere, nel corso dell’interrogatorio effettuato nei suoi confronti dal pm, Alberto Scagni, il 42enne accusato di aver ucciso a coltellate la sorella, Alice, lo scorso maggio. Secondo quanto si apprende, l’uomo, in carcere a Marassi, avrebbe però rilasciato una dichiarazione spontanea, scagliandosi contro la polizia che avrebbe dovuto sorvegliare l’abitazione della vittima la sera del delitto.
Alice Scagni ultime notizie: la dichiarazione del fratello al pm
“Mia sorella mi aveva detto che ogni sera sotto casa sua c’era una volante della polizia. Il giorno in cui è successo invece non c’era”. Sono queste le uniche parole che Alberto Scagni avrebbe rivolto al pm, Paola Crispo, nel corso dell’interrogatorio effettuato nei suoi confronti dal pm in relazione all’omicidio della sorella, Alice, uccisa a coltellate nella serata del 1 maggio a Quinto, in provincia di Genova. Era stato l’imputato, difeso dagli avvocati Elisa Brigandì e Maurizio Mascia, a chiedere di essere sentito; finora, infatti, non aveva mai parlato: né con il giudice delle indagini preliminari al momento della convalida del fermo, né dopo, nel corso delle indagini.
Indagini che, nel frattempo, la Procura di Genova ha deciso di chiudere, contestando al 42enne, fratello della vittima, l’omicidio premeditato pluriaggravato e il porto di armi abusivo e facendo cadere l’ipotesi, già smentita da uno psichiatra, che l’uomo fosse totalmente incapace di intendere e di volere. La perizia dei medici è chiara: benché semiinfermo di mente, Scagni sarebbe capace di stare in giudizio e avrebbe deciso con lucidità di uccidere la sorella. I fatti risalgono al maggio dello scorso anno: è sera quando Alice esce di casa per portare a spasso il suo cane; fuori dalla sua abitazione, a una decina di metri dal portone, incontra il fratello, Alberto. I due iniziano a litigare; una lite accesa, al termine della quale l’uomo colpisce la sorella con oltre 17 coltellate, davanti agli occhi inermi del marito, che si era affacciato dal balcone per capire cosa stesse succedendo.
Oltre al fascicolo per omicidio, se ne era aperto un secondo per presunte omissioni: i genitori della vittima e del killer sostengono infatti di aver contattato più volte le forze dell’ordine per segnalare la pericolosità di Alberto. Lo avrebbero fatto il 29 aprile precedente, dopo che l’uomo aveva incendiato la porta di casa della nonna, che gli aveva rifiutato un prestito, ma anche il 30 aprile e il 1 maggio, per aver subito delle intimidazioni. In particolare, i rapporti tra i due fratelli si erano fatti delicati a causa delle continue richieste di denaro di lui: dopo averlo aiutato diverse volte, la donna si sarebbe mostrata più restia, scatenando la sua ira. Per questo la mamma e il papà – che da sempre sostengono che “la tragedia si sarebbe potuta evitare” – avevano chiesto alla polizia di inviare sotto casa sua una pattuglia, per sorvegliarla. Si riferisce a questo, con molta probabilità, la dichiarazione ora rilasciata dall’uomo prima della richiesta del rinvio a giudizio.
Le dichiarazioni dei genitori dopo la chiusura delle indagini
“A nove mesi dalla tragedia in cui abbiamo perso due figli noi non ci rassegniamo a non avere verità e giustizia”, erano state le parole dei genitori di Alice e Alberto dopo la notizia della chiusura delle indagini da parte della Procura. Loro figlia sarebbe ancora viva, sostengono, se forze dell’ordine e servizi sociali avessero ascoltato i loro ripetuti appelli. “Non abbiamo avuto nessun tipo di intervento ma totale indifferenza e capacità professionale – dicono -. Noi siamo le parti danneggiate e il nostro legale, l’avvocato Anselmo, non può chiedere documentazione. Non possiamo ascoltare tutte le nostre telefonate fatte al 112. Dallo Stato non abbiamo avuto protezione”