Prosegue l’inchiesta sulle vittime lombarde del Covid, con gli inquirenti che stanno cercando di far luce sulle responsabilità nella gestione dell’emergenza, con particolare attenzione al territorio di Bergamo. Nel mirino di chi indaga ci sono le possibili divergenze a proposito dell’istituzione della zona rossa nella Val Seriana.
Tra i verbali presenti negli atti c’è il racconto ai pm del direttore Prevenzione del ministero della Salute ed ex direttore Malattie infettive dell’Iss Giovanni Rezza, che ha rivelato una “indecisione” da parte dell’ex premier Giuseppe Conte riguardo la necessità di una zona rossa a Nembro e Alzano. Tra gli indagati nel processo, oltre al leader del M5s, ci sono anche l’ex ministro Roberto Speranza e il governatore lombardo Attilio Fontana.
Inchiesta Covid Bergamo, Rezza: “Zona rossa avrebbe rallentato il contagio ma non avrebbe salvato la città”
Secondo il parere dell’ex componente dell’Iss, l’istituzione della zona rossa avrebbe “salvaguardato Bergamo e rallentato” il diffondersi del contagio nelle due cittadine. Rezza ha anche ribadito come il ministro Speranza sia “sempre stato favorevole all’adozione di provvedimenti restrittivi”, e anche in Regione Lombardia “mi sembrava vi fosse adesione”.
Rezza ha spiegato di aver “caldeggiato questa soluzione” nella riunione Cts del 6 marzo, vedendo l’allora presidente del Consiglio “dubbioso”.
Ho avuto l’impressione che volesse elevare il livello del controllo all’intera Regione. Mi sembrava titubante in relazione all’impegno di forze dell’ordine per delimitare il cordone sanitario, alla necessità di non distogliere le forze medesime da altre attività di rilievo, come quella di lotta al terrorismo, per esempio.
La testimonianza dell’attuale dirigente del ministero della Salute ha tuttavia sottolineato come “anche l’istituzione di una zona rossa non avrebbe inequivocabilmente salvato la città di Bergamo”.
Fontana: “Agito sulla base di esperienza e conoscenza che avevamo. Nostri comportamenti presi a modello dall’Ue”
La difesa di Attilio Fontana si focalizza sulle difficoltà legate alla prima ondata della pandemia, durante le quali non esisteva “una direttiva o indicazione che imponeva di fare una scelta piuttosto che un’altra”. Il governatore lombardo sottolinea come in quel periodo sia stato fatto “tutto quello che, sulla base dell’esperienza e della conoscenza che avevamo, andava fatto”.
Questa considerazione non l’ho fatta solo io, ma anche la Commissione europea che quando è venuta in Italia, a Milano, ha detto che ci eravamo comportati in modo corretto e che i nostri comportamenti sono poi stati presi a modello.