Nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione del covid nella prima fase, uno dei protagonisti suo malgrado è stato il governatore del Veneto Luca Zaia, il quale si è trovato a fronteggiare il primo focolaio italiano di Vo Euganeo, nel padovano. Oggi il reggente torna su quei drammatici attimi dopo che sul suo conto sono emerse le intercettazioni relative al suo pessimo rapporto diplomatico con il microbiologo Andrea Crisanti.
La verità è un diritto, ma celebrare processi sulla pubblica via è disdicevole
Intervista di Luca Zaia al Corriere della Sera
È comprensibile che il titolare di Palazzo Balbi difenda le scelte compiute in un momento critico al cospetto di uno scenario inedito. Ma il leader affiliato alla Lega attacca l’opinione pubblica, asserendo quanto sia facile parlare e giudicare con il senno di poi: una metodica che Zaia trova ricorrente rispetto a fatti eclatanti nel nostro Paese.
Inchiesta covid, Zaia: “Si fa credere il Paese sia guidato da irresponsabili”
Dalle carte pubblicate in riferimento alle audizioni e agli interrogatori compiuti nel giugno 2020, è emerso come ci sia stato un rimpallo di responsabilità (Zaia parla di “compitino”). Luca Zaia fu probabilmente l’unica figura ad andare controcorrente nel fronteggiare la prima ondata del covid, la cui strategia politica è sotto inchiesta limitatamente alla mancata zona rossa nella bergamasca.
Per il governatore è obbligatorio contestualizzare il momento, e ciò rende pressoché impossibile poter valutare le scelte compiute in una situazione molto più tranquilla come quella attuale. Nell’intervista ricorda come l’andazzo fosse quello di bollare come lontano un virus “nato” in Cina, a migliaia di chilometri di distanza: pensiero diffuso trasversalmente in tutto l’ambiente politico:
Non si possono giudicare decisioni e comportamenti con gli occhi di oggi. Tutto va cristallizzato in quel momento. Anche pensando a quel che è successo a me. In quei primi giorni di diffusione della pandemia il mood corrente era quello di riaprire, di continuare a fare la vita di sempre perché si pensava di avere a che fare con qualcosa di simile ad un’influenza.
All’atto pratico, il numero uno del Veneto chiuse l’ospedale di Schiavonia (il più vicino all’abitato di Vo Euganeo allo scoppio della bolla) e proprio nel comune simbolo insieme a Codogno istituì autonomamente la zona rossa, eseguendo i primi tamponi che rivelarono la presenza di una vasta circolazione del covid:
Il 21 febbraio decisi di chiudere l’ospedale di Schiavonia (500 pazienti), feci montare tende riscaldate all’esterno di tutti gli ospedali veneti per accogliere i positivi, istituii la zona rossa a Vo’ e feci sottoporre a tampone tutti gli abitanti di Vo’ (e trovammo 80 positivi, anche asintomatici). In più disposi la chiusura di cinema, teatri, chiese, scuole e sospesi il Carnevale di Venezia.
Poi il dialogo passa a una critica sull’impostazione generale dell’inchiesta, che Zaia trova sbagliata sotto un profilo puramente concettuale. La ripercussione di una sentenza sfavorevole agli indagati darebbe un messaggio errato al Paese, scoraggiando l’assunzione di responsabilità in caso di una situazione futura di emergenza. Anche perché su molti fatti legati all’arrivo del covid ci sono tantissime risposte sconosciute, di cui forse non avremo mai una spiegazione.