Emergono le prime dichiarazioni di Giuseppe Conte sull’inchiesta per la gestione della prima ondata covid a Bergamo, risalenti al giugno 2020. In particolare, si cerca di capire la ricostruzione delle comunicazioni tra l’allora primo ministro, il ministro della Salute Roberto Speranza e il governatore regionale lombardo Attilio Fontana.

Con Regione Lombardia non ho avuto interlocuzioni dirette per istituire una zona rossa a Nembro e Alzano Lombardo

Questo uno dei punti focali dell’indagine, che cerca di appurare se si poteva evitare il disastro demografico che ha coinvolto la provincia bergamasca tra febbraio e maggio 2020.

Inchiesta Covid, Conte prese coscienza della situazione solo a inizio marzo

Giuseppe Conte, indagato nell’inchiesta sulla gestione del Covid in val Seriana, era stato sentito dai pm come persona informata dei fatti.

In breve, emerge che l’attuale leader del Movimento 5 Stelle aveva avuto una frammentaria ed esclusiva linea telefonica con il governatore leghista, a cui però rigira la patata bollente delle responsabilità quando sostiene che Fontana non ha mai avanzato richieste circa l’istituzione della fatidica zona rossa nella bergamasca, poi istituita insieme ad altre parti d’Italia. Dal punto di vista probatorio, tutto ruota intorno a una mail datata 28 febbraio 2020 in cui Fontana chiedeva al governo “il mantenimento delle misure già adottate.

Un’altra testimonianza del pessimo coordinamento anche all’interno della squadra di governo è testimoniata dalla “ricognizione” effettuata dall’ex ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, all’interno dell’ospedale di Alzano Lombardo. A tal proposito, Conte ha sostenuto di non essere venuto a conoscenza di questo blitz e non di non aver richiesto successivamente aggiornamenti in merito. In linea di massima ha riconosciuto la gravità della situazione emersa nel colloquio avuto con la Protezione Civile il 6 marzo 2020, due giorni prima della pubblicazione del primo Dpcm relativo all’isolamento.

Che l’inchiesta sia orientata ad appurare il caos totale di quei mesi frenetici lo si capisce anche dal voluminoso dossier di consulenza affidato al microbiologo Andrea Crisanti, secondo cui la tesi di fondo è che la strage di vittime poteva essere evitata con misure preventive. Al suo interno si legge che il covid sarebbe circolato all’interno della bergamasca già a gennaio, tutt’al più nella prima settimana di febbraio: dunque 14 giorni prima la scoperta del paziente 1 di Codogno. Già durante le primissime riunioni con il Cts, si capì che l’impatto del covid in Italia sarebbe stato devastante, previsione poi drammaticamente confermata dalla realtà.