Si aggiunge un altro dettaglio all’interno dell’inchiesta Covid, che da qualche giorno copre le prime pagine di giornale, sulla gestione della pandemia in Val Seriana e sull’assenza di una zona rossa preventiva che ha causato migliaia di morti. Tra gli indagati spuntano anche i nomi dell’ex premier Conte e dell’ex ministro della Salute Speranza, insieme a tanti altri. Nelle ultime ore diversi media italiani hanno riportato la relazione di Andrea Crisanti come parte della consulenza affidata alla Procura di Bergamo, in cui vengono delineati diversi dettagli del periodo.
Il microbiologo conferma, prima di tutto, l’esistenza di un piano pandemico istituito nel 2006: “L’Italia aveva un manuale di istruzione, questo era il piano pandemico. Se poi ha affrontato la pandemia senza un manuale è perché questo (…) è stato scartato a priori senza essere valutato dai principali organi tecnici del ministero.” Quindi, l’ex ministro Speranza ha sempre sostenuto che “il piano era datato e non costruito specificamente su un coronavirus, ma su un virus influenzale. Il Piano pandemico nazionale era l’unico documento operativo a disposizione che, sebbene non perfettamente allineato con le più recenti indicazioni di Oms conteneva ben dettagliate una serie di azioni (…) per contrastare la diffusione.”
Detto questo, secondo quanto sostenuto da Crisanti, “per 16 anni non è mai stata intrapresa una singola attività o progetto che avesse l’obiettivo di valutare lo stato di attuazione del Piano Pandemico Nazionale e/o di verificare lo stato di preparazione dell’Italia nei confronti del rischio pandemico.”
Inchiesta Covid, Crisanti e i dubbi sul piano secretato
Quindi, lo stesso Crisanti commenta la decisione da parte del Governo Conte di applicare misure restrittive nel mese di marzo 2020: “La ragione per la quale azioni più tempestive e più restrittive non sono state prese la fornisce il presidente Conte quando nella riunione del 2 marzo 2020 afferma che ‘la zona rossa va utilizzata con parsimonia perché ha un costo sociale politico ed economico molto elevato’. Queste considerazioni hanno prevalso sulla esigenza di proteggere gli operatori del sistema sanitario nazionale e i cittadini dalla diffusione del contagio.”
Il microbiologo aggiunge che tutti gli attori coinvolti erano a conoscenza dei dati, specialmente rispetto alla circolazione del virus e dell’aumento incontrollato di contagi: “La documentazione acquisita dimostra oltre ogni ragionevole dubbio di come il Cts, il Ministro Speranza e il Presidente Conte avessero a disposizione tutte le informazioni e gli strumenti per valutare la progressione del contagio e comprendere le conseguenze in termini di decessi.”
Quindi, con “previsioni dello scenario con Rt=2 il Cts stesso e il Ministro Speranza condivisero la decisione di segretare il Piano Covid per non allarmare l’opinione pubblica.”
C’è quindi un elemento che Crisanti sottolinea all’interno della sua relazione, ossia la consapevolezza da parte del Cts e della task force della pericolosità di questo virus: “Già dal giorno 12 febbraio – ossia otto giorni prima di Paziente 1 – i componenti prima della della task force del ministero e poi del Cts, erano consapevoli della difficoltà di reperire Dpi e materiali per la loro produzione”. Conoscevano quindi “la situazione di vulnerabilità in cui si trovava l’Italia e del rischio a cui avrebbero esposto la popolazione e gli operatori sanitari non prendendo iniziative idonee”.
Crisanti sulla fuga di notizie: “Pronto a querelare”
All’Adnkronos, lo stesso Crisanti ha quindi commentato la fuga di notizie di queste ore: “Rimango di sasso. Ho avuto la perizia per tre anni e non è uscito nulla. Non sapevo chi fossero gli indagati. Chi fa il mio nome dice il falso e sono pronto a querelare. E sarò intransigente. Ma poi la perizia non è che contiene i nomi degli indagati, è una mappa logica che ricostruisce i fatti e permette agli inquirenti di contestualizzare altri documenti. In non ho contatti con la Procura di Bergamo dal mese prima che ho deciso di candidarmi.”