Settimana corta, ecco dove si lavora 4 giorni o 35 ore pagate per 40, oppure si adotta un meccanismo differente di flessibilità in azienda abbinando anche sistemi di prepensionamento e di ricambio generazionale con l’istituzione del part time. La settimana corta è già realtà in molte imprese del panorama italiano, ma aziende e sindacati stanno implementando altre situazioni di settore con la previsione di ridurre l’orario di lavoro per meglio rispondere sia alle esigenze produttive che alla conciliazione del lavoro con la vita privata. Nel contesto di riduzione dell’orario lavorativo rientra anche il nuovo codice per favorire le lavoratrici sul lavoro e non penalizzarle in caso di maternità come anticipato in questi ultimi giorni dalla ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Maria Roccella. Nell’adozione delle nuove misure, Roccella si è ispirata al settore della farmaceutica, apripista in fatto di parità di genere e di donne madri che non devono interrompere la carriera. In quest’ottica, le lavoratrici hanno più accesso a smart working, orari ridotti e part time e ubicazione delle sedi di lavoro più vicine all’abitazione, quando possibile. In vari casi, la riduzione dell’orario lavorativo è compensato dalla partecipazione dei dipendenti a corsi di formazione per accrescere le proprie competenze professionali.

Settimana corta, ecco dove si lavora 4 giorni o 35 ore pagate per 40

E, allora, è già realtà la settimana lavorativa corta in diverse imprese italiane, affidata agli accordi integrativi. Tutti i settori ne sono coinvolti: partendo dalle imprese chimiche e siderurgiche, in molte realtà si lavora per 32 o 34 ore alla settimana. Ciò dipende dal ciclo produttivo dei macchinari che, automatizzati e con un’impiego della manodopera minimale, devono funzionare a ciclo continuo. Chi lavora in queste imprese, lo fa per tre o quattro giorni di seguito, per poi avere i due giorni successivi liberi, riposando a scorrimento. Si lavora per 35 ore settimanali ma si viene pagati per 40 ore alla Tenaris Dalmine, azienda che produce tubi in acciaio. Le ore di differenza da 35 a 40 sono per metà a carico dell’impresa, per l’altra metà scalate dai permessi retribuiti. Toyota Material Handling Italia, invece, ha intrapreso percorsi di ricambio generazionale dando l’opportunità, ai lavoratori più prossimi ad andare in pensione, di poter accedere a un periodo di 6 mesi – con contributi e stipendi invariati – al fine di inserire nei processi produttivi i giovani. Nella stessa impresa, inoltre, si prevedono turni di sette ore che diventano 35 in una settimana. Nella provincia di Padova, alcune imprese hanno fatto accordi di secondo livello prevedendo turni al di sotto delle classiche 40 ore settimanali: si lavora per tre turni totalizzando 35 ore e 40 minuti o per 34 ore e 45 minuti su quattro turni. Gli operai della meccanica spesso fanno tre turni a settimana totalizzando 37 ore e dieci minuti.

Cosa si intende per orario ridotto?

I sindacati si stanno muovendo per fare in modo che la settimana corta possa essere riconosciuta mediante trattative di tipo integrativo al contratto nazionale di appartenenza. Il percorso riguarderebbe tutti i settori, da quelli produttivi alle telecomunicazione, dai bancari alla meccanica. Un orario flessibile sul quale la Fiom Cgil ha già presentato sulla piattaforma unitaria Abb proposte di riforma dell’orario lavorativo, chiedendo al governo di ragionare su ipotesi di questo tipo:

  • tre mesi con articolazione di orario quattro giorni lavorativi e un giorno di riposo;
  • sei mesi di orario con articolazione di orario quattro giorni lavorativi e due giorni di riposo;
  • un mese di orario con articolazione di orario su quattro giorni lavorativi e un giorno di riposo.

Il mantenimento di un sistema di questo tipo prevederebbe il 60% della copertura a carico dell’impresa e il 40% del lavoratore che provvederebbe con i permessi retribuiti. Per la Fiom, la riduzione delle ore di lavoro dovrebbe servire, in parte, anche all’aumento delle competenze dei lavoratori alle dipendenze, mediante la partecipazione ai corsi di formazione. Si pensi, ad esempio, ai lavoratori del settore delle auto elettriche, che dovranno sostenere il processo di trasformazione produttivo il quale richiederà specifiche competenze e nuovi investimenti tecnologici.