Tra gennaio e febbraio di quest’anno, papa Francesco ha realizzato un interessante “pacchetto” di riforme che riorganizzano l’assetto economico-finanziario del Vaticano.
Le riforme economico-finanziarie di Papa Francesco
Quella che ha fatto più clamore mediatico e tra i settori conservatori della Curia, è il Rescritto del 13 febbraio, entrato immediatamente in vigore con la pubblicazione sugli “Acta Apostolicae Sedis”, che abroga tutte le norme che hanno finora permesso l’uso gratuito o a condizione di favore degli immobili di proprietà delle Istituzioni Curiali e degli Enti che fanno riferimento alla Santa Sede (che è altra cosa dalla Città del Vaticano) ai cittadini vaticani (che sono all’incirca 700 persone) e a chi vi abita, imponendo un affitto pari a quello pagato da chi usufruisce degli appartamenti vaticani senza ricoprire un ruolo in qualche modo direttivo. La misura si applica dunque a cardinali, arcivescovi, vescovi, presidenti e segretari di Dicasteri, dirigenti del Tribunale della Sacra Rota e quant’altri, comprese le “Domus”, che svolgono attività turistica e culturale. Il Rescritto vieta, inoltre, qualsiasi contributo di compartecipazione al canone di locazione, sia da parte degli Enti della Santa Sede che di terzi. Le agevolazioni già previste in contratti precedenti il 13 febbraio 2023, rimangono fino alla loro scadenza, per poi adeguarsi alle nuove norme di locazione.
La misura è stata considerata da alcuni giornali e dagli ambienti conservatori, abituati a una visione del Vaticano come di uno Stato elitario, quasi fosse il Principato di Monaco, alla stregua di una collettivizzazione (con l’implicita accusa di comunismo al papa riformatore latinoamericano). Mentre si tratta, invece, di una misura di razionalizzazione del comparto economico-finanziario, al fine di destinare più risorse al Servizio Universale della Chiesa (che è l’evangelizzazione del mondo) e ai poveri, in un contesto economico di particolare gravità. Per questo, Francesco ha chiesto un contributo anche ai cardinali e ai vescovi residenti in Vaticano, in armonia con il principio della Destinazione Universale dei Beni della Chiesa, riaffermato vigorosamente nella nuova Costituzione apostolica, la “Praedicate Evangelium”.
Beni ecclesiastici
Destinazione Universale del Beni ecclesiastici, che è stata fortemente rilanciata, poi, dal “Motu proprio” (legge di immediata applicazione) di Francesco che il 24 febbraio ha ribadito ciò che dovrebbe essere noto ai responsabili ecclesiali ma che non è rispettato da Dicasteri ed Enti vaticani collegati alla Santa Sede: che tutti i beni, mobili e immobili, inclusi i titoli e le disponibilità liquide, sono beni pubblici ecclesiastici, e come tali sono di proprietà della Santa Sede. Chi li gestisce, ricorda il papa, ne è soltanto amministratore e non proprietario. Un “Motu proprio” che si è reso necessario in ragione del fatto che la centralizzazione della finanza della Curia vaticana nell’Apsa (l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) non è stata mai completata, visto che ogni Dicastero o Ente collegato alla Santa Sede si tiene il proprio tesoretto.
Riforma del Vicariato di Roma
Altra riforma, che è entrata in vigore dallo scorso 31 gennaio, è quella del Vicariato di Roma, che Francesco ha profondamente riorganizzato, rendendolo più collegiale e più legato al papa. E istituendo un Organismo indipendente di sorveglianza, per verificarne e regolarizzarne soprattutto le attività economico-finanziarie.
Raffaele Luise per la Rubrica VarticanoMondo