Inchiesta covid Bergamo. Nonostante l’impennata dei contagi tra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo e lo scenario “catastrofico” acclarato, non fu istituita alcuna zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro, per altro già pronti a ‘isolarsi’ per evitare di dover contare oltre 4 mila morti di Covid. E non fu applicato il piano influenzale pandemico, pur risalente al 2006: mancanza che ha comportato una catena di ritardi e omissioni che avrebbero poi determinato la “diffusione incontrollata” del virus. Questi i principali temi, messi nero su bianco dalla Procura di Bergamo nell’avviso di chiusura dell’indagine sulla gestione della prima ondata del Covid nella zona più colpita d’Italia. Inchiesta in cui gli indagati sono 19, tra cui l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro Roberto Speranza e il presidente della Lombardia Attilio Fontana.
Sul tema, il Prof. Matteo Bassetti, primario del reparto di malattie infettive all’ospedale San Martino di Genova, è intervenuto ai microfoni de “L’Italia s’è desta” condotta da Gianluca Fabi e Roberta Feliziani su Radio Cusano Campus.
Inchiesta covid Bergamo, Bassetti: “No al giustizialismo”
Per Bassetti non si possono trovare responsabilità di quanto fatto a livello nazionale, attraverso un processo che si svolge in una singola città:
“Qualcosa in più si poteva fare e mi pare abbastanza evidente. Dopodiché non credo che si possano trovare responsabilità attraverso un processo fatto in una singola città. Se vogliamo andare a guardare l’organizzazione che ci ha portato ad affrontare la pandemia dobbiamo andare a guardare se tutte le cose erano state fatte in maniera appropriata, ma non solo a Bergamo, a livello nazionale. Il piano pandemico era vecchio di 14 anni, ma c’erano scritte alcune cose che se fossero state applicate avrebbero permesso di migliorare la situazione. Il problema non è se andare a indagare o no, ma chi deve indagare. Io non credo che debba essere la procura di una città italiana sull’impianto complessivo di come è stata affrontata la pandemia. Oltretutto in quel periodo si navigava al buio. E’ chiaro che oggi col senno del poi siamo qui a dire che ci sono state responsabilità, ma io non credo che ci sia stata malafede da parte del ministro Speranza o del governatore Fontana. Noi ce l’abbiamo quest’atteggiamento in Italia di dover trovare senza la colpa. Questo è giustizialismo. Quando tu colpisci tutto non hai colpito nessuno alla fine. Ha molto più senso fare una commissione d’inchiesta parlamentare che faccia chiarezza su tante decisioni che sono state prese, ma non per trovare il colpevole, bensì per evitare che in futuro possano riaccadere certe cose. Il processo non va fatto alle persone, ma al virus, perché noi siamo stati colpiti alle spalle dal virus. La relazione di Crisanti secondo me è stata influenzata da quello che abbiamo scoperto dopo, è molto difficile calarsi nel momento in cui eravamo a febbraio. Il parere di Crisanti, che io stimo molto, non è che sia oro colato. Poi ci sarà un processo e immagino e spero che saranno sentiti altri consulenti”.
Piano pandemico
Riguardo la mancata applicazione del piano pandemico del 2006:
“Noi avevamo avuto sollecitazioni in passato con la suina e la mers, il problema non è che io sapessi se esisteva un piano pandemico, il problema è che il piano pandemico, seppur vecchio, aveva al suo interno alcuni aspetti che avrebbero aiutato ad affrontare la pandemia, nonostante fosse fatto per affrontare un’epidemia di influenza. Mancava completamente tutta la linea dell’emergenza, della sorveglianza, delle attrezzature e della comunicazione”.