Dopo la notizia di conclusione delle indagini, la procura di Bergamo chiarisce i motivi per cui diversi politici e tecnici di primo piano, all’epoca della prima ondata di pandemia in Italia, sono stati indagati.

Il pm di Bergamo: “Regione poteva attuare zona rossa”

Il procuratore di Bergamo Antonio Chiappani, in un’intervista a Radio 24 ribadisce come la Lombardia si sarebbe potuta muovere in autonomia:

“Col decreto del 23 febbraio 2020 era stata richiamata la precedente legislazione sanitaria per cui in caso di urgenza c’era la possibilità di decidere la chiusura sia a livello regionale che locale”.

Come spiega lo stesso procuratore Chiappani, la possibilità di imporre chiusure va messa in correlazione alla “consapevolezza che potesse avere un sindaco o un presidente di Regione rispetto all’emergenza e ai dati che aveva in possesso sull’emergenza”.

Nel mirino dell’inchiesta di Bergamo sul covid il piano pandemico

Nel suo intervento, il magistrato ha parlato in generale di “insufficiente valutazione del rischio pandemico” e del fatto che il piano pandemico del 2006, anche se non aggiornato, avrebbe dovuto essere attuato pur se obsoleto. Contro questa scelta, secondo quanto riporta l’Agi, andò Silvio Brusaferro: il presidente dell’Istituto Superiore della Sanità, si legge nell’avviso di chiusura delle indagini, “propose di non dare attuazione al Piano pandemico, prospettando soluzioni alternative, così impedendo l’adozione tempestiva delle misure in esso previste“.

“Conte e Speranza causarono oltre 4mila morti”

Sempre secondo la procura bergamasca, Giuseppe Conte e Roberto Speranza, “per il quale si procede separatamente in virtù della competenza funzionale del Tribunale dei Ministri”, e altri indagati “in cooperazione colposa cagionavano la diffusione dell’epidemia di Covid 19 in Val Seriana, inclusi i Comuni di Alzano Lombardo e Nembro, mediante un incremento stimato non inferiore del contagio di 4.148 persone, pari al numero dei decessi in meno che si sarebbero verificati in Provincia di Bergamo, di cui 55 nel Comune di Alzano e 108 nel Comune di Nembro, rispetto all’eccesso di mortalità registrato in quel periodo, ove fosse stata estesa la zona rossa a partire dal 27 febbraio 2020″. A loro viene contestata l’aggravante “di aver cagionato la morte di più persone”.

Inchiesta Covid, procura di Bergamo: “Il Cts sapeva dal 28 febbraio”

Secondo la magistratura bergamasca, il Comitato tecnico scientifico era al corrente dalla fine del mese di febbraio dello “scenario più catastrofico per l’impatto sul sistema sanitario e sull’occupazione delle terapie intensive” causato dal Covid in Lombardia. E ciononostante, contestano i pm, i componenti dello stesso Cts, tra cui Silvio Brusaferro, Franco Locatelli e Agostino Miozzo, non proposero “l’estensione delle misure previste per la c.d. «zona rossa» ai comuni della Val Seriana, inclusi i comuni di Alzano Lombardo e Nembro”.

“Causata la diffusione incontrollata del covid”

Secondo il tribunale inoltre, vennero presi sotto gamba anche i diversi alert diramati dall’Organizzazione mondiale della Sanità relativi all’avanzata del Sars-CoV-2 e che era già stato bollato come “un’emergenza internazionale di sanità pubblica”. Per questo i pm di Bergamo accusano l’ex assessore al Welfare lombardo Giulio Gallera di non aver attuato le “azioni di sorveglianza”, le “azioni di sanità pubblica”, le “azioni per garantire trattamento e assistenza”, le “azioni per garantire adeguata formazione del piano sanitario” “causando la diffusione incontrollata del virus”. Un accusa mossa, a a vario titolo, anche verso Claudio D’Amario (direttore generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute), Silvio Brusaferro (direttore dell’Iss), Luigi Cajazzo (direttore generale della sanità lombarda), Angelo Borrelli (capo del Dipartimento della Protezione Civile).