Il negroamaro è il vitigno più coltivato in Puglia, soprattutto nelle zone di Brindisi e Lecce. Probabilmente portato in questa terra dai coloni greci più di 2.000 anni fa si può considerare un vitigno autoctono pugliese.
L’origine del nome
Ci sono due filosofie di pensiero sull’origine del nome, la prima lo fa risalire al latino “Niger” e al greco “Mavros”, che vuol dire in entrambi i casi “nero”. La seconda filosofia di pensiero lo fa invece risalire al dialetto salentino e alle due parole “Niuru” e “Maru” che vogliono dire rispettivamente “Nero” e “Amaro”, a ricordare il finale amarognolo dell’uva.
Da non confondere con il noto gruppo musicale: i Negramaro,che si chiamano allo stesso modo perdendo una “O”. Gruppo dalle origini salentine che si è ispirato proprio a questo vitigno per battezzare il gruppo, lo stesso Giuliano Sangiorgi dichiara infatti in un’intervista: “Il nome è un chiaro richiamo all’attaccamento alle nostre radici salentine. Il Negroamaro, molto popolare in Salento, è un vino piuttosto robusto, ma con una nota dolciastra”. Il cantautore ha voluto quindi far emergere le affinità tra il gusto del vino e il sound della sua band.
Il negroamaro, il punto di svolta
Molta della sua importanza attuale il negroamaro (e più in generale l’enologia pugliese), la deve a Severino Garofano. L’enologo originario dell’Irpinia arriva per la prima volta in Puglia e più precisamente a San Donaci (Br), il 9 settembre del 1957. Data che i cittadini di questo piccolo paese ricordano ancora, non tanto per l’arrivo di un ragazzino campano allora ancora sconosciuto, ma perché nel paese era in corso una vera e propria sommossa popolare attuata dai contadini che protestavano per la notizia (risultata poi essere falsa), che il prezzo dell’uva sarebbe drasticamente sceso. Durante queste proteste persero la vita tre ragazzi per mano delle forze di polizia del tempo. Giorno passato alla storia come il giorno della “Guerra del vino”.
Nel 1958 un avvenimento casuale diede a Severino l’opportunità di far partire una vera e propria sperimentazione. Come ci racconta Giuseppe Baldassarre nel numero 22 della rivista Vitae: suor Lucia invitò Severino ad andare a raccogliere quel che restava delle uve di negroamaro in un vitigno decimato da una pessima annata. Severino raccolse queste uve e decise di provare a farle appassire su delle stuoie, per poi metterle a maturare in botti di rovere sloveno. Gli assaggi saltuari di questo vino diventavano sempre più sorprendenti e promettenti tanto da indurre Severino e il proprietario della cantina a continuare la sperimentazione negli anni successivi. In queste sperimentazioni si provarono a far appassire anche altre due tipologie di uva locali come la malvasia nera e il primitivo ma si notò da subito che solo in negroamaro riusciva a migliorare notevolmente i valori olfattivi e degustativi. Severino dichiarò infatti: “Il negroamaro aveva tenuto racchiuso in sé per molto tempo il suo segreto. Un gusto nascosto, scoperto grazie alle sofferenze inferte ai grappoli nella loro interezza durante la fase delicata dell’appassimento. Occorreva un’annata difficile per indicare una nuova strada da seguire! Non tutti i mali vengono per nuocere”.
Oggi esistono in commercio varie bottiglie di Negroamaro prodotte con un processo simile, inutile dire che sono le bottiglie che danno più soddisfazioni durante la fase di degustazione, che possono invecchiare molti anni e che, ovviamente, costano di più.
La degustazione
Il negroamaro si presenta come un vino dal colore rosso rubino intenso, con note di rosa, amarena, liquirizia e note spezieate, fino ad arrivare al tabacco e al cioccolato nelle versioni più evolute. Sono vini morbidi ma austeri, accompagnati da un tannino elegante.
Particolare menzione meritano i rosati prodotti a partire da questa uva, specialmente quelli realizzati con il tradizionale metodo “a lacrima”. Generalmente di un colore rosa corallo con sentori di rosa, frutta a bacca rossa e macchia mediterranea. Sono dei vini molto versatili nell’abbinamento al cibo il che gli permette di essere dei vini ideali da accompagnare a tutto pasto.
Giovanni Serio