Sempre più cantine in Italia e nel mondo stanno facendo diverse sperimentazioni di affinamento delle loro bottiglie in mare, ma come mai? È solo una moda del momento o c’è anche un contributo concreto e unico che il mare può dare alle bottiglie?
Le origini del fenomeno
Le origini di questa tecnica pare siano antichissime, già 2.500 anni fa, nell’antica Grecia, gli abitanti dell’isola di Chio avevano un segreto che custodivano gelosamente: quello di tenere l’uva per qualche giorno in mare. In questo modo si eliminava la pruina presente nella parte esterna della buccia e si riusciva ad ottenere un appassimento più veloce, riuscendo a far mantenere al vino gli aromi e le sostanze principali.
Gli antichi romani essiccavano le uve al sole venivano miscelate con acqua marina, per accelerare la maturazione e prevenire l’acetificazione.
In tempi più recenti, il ritrovamento e la successiva degustazione di bottiglie che si trovavano in navi affondate da decenni, ha contribuito ad aumentare la leggenda dei vini invecchiati in mare.
Perchè il mare è una cantina ideale
L’assenza di luce e la temperatura costante che si trova in profondità del mare sono due aspetti naturali ma fondamentali per l’invecchiamento del vino. In profondità inoltre c’è un completo riparo dalle fasi lunari e le maree cullano e coccolano il vino conferendo un perlage (nel caso degli spumanti) più fine in quanto i lieviti resterebbero sempre in sospensione.
Normalmente una cantina sostiene alti costi di gestione già solo per l’impianto di areazione e climatizzazione per tenere al riparo i propri vini dagli sbalzi termici e dalle alte temperature, la cantina in mare, quindi, vince sotto tanti punti di vista: sicuramente vince da un punto di vista economico ed ecologico.
Le cantine che già utilizzano questo metodo
Sono 31 in tutto il mondo le cantine che hanno deciso di fare invecchiare parte dei loro vini in mare. Uno dei pionieri è stato sicuramente Pietro Lugano, titolare dell’azienda vinicola Bisson che ha deciso di far riposare il suo spumante a sessanta metri di profondità nel mare di Portofino.
Un’altra grande sperimentazione in corso è quella della rinomata maison di champagne Veuve Clicquot, che nel 2014 ha immerso una selezione dei suoi champagne nel mar Baltico, con lo scopo di riassaggiarle dopo 50 anni e vedere la differenza con le stesse bottiglie conservate nel frattempo in cantina. Purtroppo, dovremo aspettare ancora una quarantina d’anni per scoprire i frutti di questo esperimento.
L’ultimo caso invece è di una cantina pugliese, le cantine Paololeo infatti faranno riposare nell’area marina protetta di Porto Cesareo (LE), ad una profondità di 30 metri, 1500 bottiglia di spumante metodo classico formato dalle varietà autoctone verdeca e maresco. Potremmo definirla una sperimentazione nella sperimentazione in quanto le due varietà d’uva vengono spumantizzate per la prima volta e per di più in mezzo al mare.
Anche in questo caso non ci resta che aspettare (un paio d’anni) e augurare a questi vini un buon invecchiamento perché, se è vero che “Nessuno dovrebbe mai restar solo, da vecchio. Anche se è inevitabile”, è vero anche che “Nessuno era mai solo sul (o nel) mare”, come afferma Ernest Hemingway ne “Il vecchio e il mare”.
Giovanni Serio