“Mi chiamo Gabriel Natale. La mia famiglia italiana mi chiama Gabriele, gli amici Gab. E non sono un assassino”: sono alcune delle parole scritte alla vedova del vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega – ucciso a coltellate a Roma nel luglio del 2019 -, da Hjorth, uno dei ragazzi americani in carcere con l’accusa di omicidio.

Omicidio Cerciello Rega: la lettera dal carcere di Gabriel Natale Hjorth

È nato a San Francisco il 3 ottobre 2000 ed è stato arrestato a Roma il 27 luglio del 2019 con l’accusa di aver ucciso il vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega insieme ad un amico: si tratta di Gabriel Natale Hjorth, da allora recluso nel carcere di Regina Coeli, dove è in attesa della sentenza della Cassazione che, il prossimo 15 marzo, deciderà se confermare o meno la condanna a ventidue anni pronunciata nei suoi confronti dalla Corte d’Appello. “Signora, mi dispiace moltissimo per il suo dolore – scrive alla vedova Cerciello -, ma se uno mi guarda negli occhi, senza voglia di vendetta cieca, e ha ascoltato con il cuore puro la logica dei fatti e le prove, come può accettare che io sia qui? Non sono perfetto, ma non sono nemmeno un killer”.

A riportare lo stralcio della lettera, contenuta nel libro di Fabrizio Berruti “Gabriel. Non ho ucciso nessuno”, è il Corriere della Sera. Il ragazzo si dichiara quindi innocente, ma per ora, su di lui, pende una condanna a ventidue anni. È stato invece condannato a 24 anni il suo amico, Finnegan Lee Elder, colui che, secondo le ricostruzioni, avrebbe sferrato materialmente le coltellate costate la vita al carabiniere. È la notte tra il 25 e il 26 luglio 2019 quando i due, in cerca di cocaina per le strade di Roma, incontrano Sergio Brugiatelli, che li accompagna da un pusher, mediando le trattative: le cose non vanno per il verso giusto, perché i carabinieri interrompono lo scambio; i due ragazzi americani scappano, portando con loro il marsupio di Brugiatelli, che si rivolge quindi alle forze dell’ordine per denunciare il furto.

È a questo punto che entrano in gioco Mario Cerciello Rega e il collega, Andrea Varriale: sono loro i carabinieri di turno quella notte ed è a loro che Brugiatelli si rivolge. Deciso a riavere indietro il suo marsupio, l’uomo concorda con i due ragazzi americani un appuntamento in via Pietro Cossa, a pochi passi dall’Hotel Le Meridien, dove alloggiano. I due si presentano all’incontro, ma ad aspettarli non trovano Brugiatelli, bensì i due carabinieri: d’ora in avanti le versioni non combaciano. Secondo l’accusa, Elder, che era uscito dall’albergo portando con sé un coltello, si sarebbe scagliato contro Cerciello Rega deciso ad ucciderlo, con l’aiuto dell’amico; per la difesa, invece, Elder lo avrebbe colpito preso dal panico, inconsapevole di avere davanti un carabiniere in borghese e convinto di essere aggredito da complici di Brugiatelli. Hjorth sarebbe rimasto estraneo ai fatti.

Una versione, quella dei due americani, a cui i giudici non hanno creduto: condannati all’ergastolo in primo grado, i due hanno beneficiato di una riduzione delle condanne in Appello e sono ora in attesa della sentenza della Cassazione, in programma per il prossimo 15 marzo. “Il sacrificio di mio marito non deve essere dimenticato: un servitore dello Stato ucciso nel momento più felice della sua vita. Il dovere della memoria non è solo di noi familiari ma è di tutti”, aveva dichiarato la moglie del vicebrigadiere ucciso dopo la sentenza della Corte dell’Appello, che ha condannato Elder a ventiquattro anni e Hjorth a ventidue. La difesa di quest’ultimo si era detta delusa. “Avevamo sicuramente dimostrato l’estraneità di Gabriel Natale – aveva detto l’avvocato Francesco Petrelli -. In una situazione come questa ci aspettavamo venisse riconosciuta l’innocenza dell’imputato”.