Storia del Crimine: Ernesto Picchioni, “Il mostro della Salaria”. Nato ad Ascrea in provincia di Rieti il 3 maggio 1906 e morto nel carcere di Porto Azzurro all’Isola d’Elba il 9 settembre 1967, Picchioni è stato un serial killer responsabile di una serie di omicidi tutti commessi nel paese di Nerola a nord di Roma. Per questo Ernesto Picchioni è passato alla storia del crimine anche come “il mostro di Nerola”. Le accuse contro di lui: responsabile da un minimo di 4 delitti a un massimo di 16. Ernesto Picchioni va annoverato tra i cosiddetti “serial killer a scopo di lucro”, cioè uccideva per un interesse economico.

Storia del Crimine: Ernesto Picchioni, “Il mostro della Salaria”

Nel 1944, Ernesto Picchioni lasciò il suo paese d’origine Ascrea per trasferirsi in provincia di Roma in una casa fatiscente al km 47 della via Salaria. Si trasferì a Nerola insieme alla moglie Angela Lucarelli e ai suoi quattro figli. A chi gli chiedeva cosa facesse per vivere, Picchioni rispondeva: “Guadagno vendendo lumache”. I precedenti penali prima dell’arresto per omicidio plurimo: Ernesto Picchioni nel 1946 scontò quattro mesi di carcere per aver aggredito, colpendolo con una pietra alla testa, il proprietario del fondo in cui abitava abusivamente (nella foto: il paese di Nerola oggi).

Gli orrori lungo la via Salaria

Quando venne individuato come responsabile di quei delitti, i carabinieri trovarono le prove dell’orrore. Nel terreno intorno alla casa di Picchioni vennero alla luce: quattro cadaveri, alcuni cani uccisi e resti di biciclette smontate. Mentre intorno al paese di Nerola furono trovati altri due cadaveri: quello di un tredicenne e quello di un uomo anziano; ma per queste vittime gli inquirenti non riuscirono a provare il collegamento con Ernesto Picchioni. Il modus operandi del “mostro della Salaria”: abitando in una casa a due piani occupata abusivamente, fatiscente e isolata, questo serial killer piazzava lungo la strada chiodi piegati ad arte per bucare le ruote delle biciclette. Quando i malcapitati andavano a chiedere aiuto nel suo casolare perchè avevano forato, Picchioni, se vedeva che si trattava di gente benestante, offriva loro del cibo e un giaciglio; poi durante la notte li uccideva impossessandosi di tutti i loro averi.

L’arresto e la morte in carcere di Ernesto Picchioni

Dopo l’arresto Ernesto Picchioni venne portato nel carcere di Civitavecchia. In seguito, il 12 marzo 1949, fu condannato a due ergastoli e 26 anni di prigione. Provò a difendersi sbandierando un improbabile movente politico: da iscritto al Partito Comunista Italiano, si vantò di essere un fervente antifascista e antinazista. E così disse di aver ucciso due militari tedeschi in ritirata. Dopo aver tentato di aggredire il “Papa buono” Giovanni XXIII durante una visita in carcere, Picchioni venne trasferito nel carcere di massima sicurezza di Porto Azzurro dove morì a causa di un arresto cardiaco all’età di 61 anni.

Curiosità e Picchioni nell’immaginario collettivo

Ernesto Picchioni in carcere non ricevette mai alcuna visita dei parenti; soprattutto perché lui diceva che li avrebbe uccisi nel momento in cui li avesse visti. Le figlie Carolina e Gabriella dopo l’arresto del padre furono adottate nel 1952 dall’imprenditore Robert Wilbraham Fitz Aucher: benefattore e magnate dell’acciaio. Le due figlie di Picchioni ricevettero in eredità 2 milioni di dollari. Al “mostro della Salaria” è ispirato il racconto “I nostri graffiti” da “Le ombre bianche” di Ennio Flaiano. Mentre nel film “Totò contro i quattro”, viene menzionato il nome che i media diedero all’assassino. In una scena Totò, rivolgendosi ad Aldo Fabrizi che gli chiede l’indirizzo di uno scassinatore per poterlo aiutare ad aprire una serratura rotta, risponde: “Sicché quando deve tirare il collo a una gallina che fa? Chiama il mostro della Salaria!?”. Anche un episodio de “I Mostri” di Dino Risi è ispirato alla storia di Ernesto Picchioni, “il mostro della Salaria”.

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