Il direttore dell’FBI Christopher Wray si è espresso pubblicamente per la prima volta a proposito dell’origine del covid in Cina, esprimendo il suo punto di vista al termine di un’analisi che l’ente federale americano sta conducendo con la massima riservatezza:

L’FBI è convinta da tempo che le origini della pandemia siano molto probabilmente legate a un potenziale incidente di laboratorio a Wuhan

Il capo dei federali ha poi rincarato la dose sostenendo che il governo cinese “sta facendo del suo meglio per cercare di ostacolare e offuscare gli sforzi degli Stati Uniti e di altri Paesi per saperne di più sulle origini della pandemia.

Origine del Covid in Cina, la Casa Bianca priva di posizione ufficiale

Quello che è certo è che la questione torna in auge in un momento storico dove i rapporti tra Washington e Pechino continuano a essere all’insegna della tensione diplomatica.

Tra l’altro, l’argomento segue un articolo del Wall Street Journal pubblicato la scorsa domenica, secondo il quale il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha sottovalutato l’ipotesi che la pandemia di covid abbia avuto origine da una fuga involontaria dal laboratorio in Cina. Tra le agenzie internazionali americane e non, insieme a gruppi di intelligence, prevale l’idea che il proliferare del virus sia stato il risultato di una trasmissione naturale.

Il portavoce della Casa Bianca per la sicurezza nazionale, John Kirby, ha dichiarato lunedì che il governo statunitense non ha raggiunto una conclusione definitiva e un consenso unanime sulle origini della pandemia.

Il ministero degli Esteri cinese ha prontamente rispedito al mittente le accuse facendo riferimento a un rapporto OMS-Cina che indicava un’origine naturale della pandemia.

Elon Musk sotto l’occhio cinese

Vicino alle posizioni e alle teorie dell’Fbi c’è un altro personaggio che, da solo, gode comunque di un clamore mediatico paragonabile a quello dei federali. Stiamo parlando ovviamente di Elon Musk, amministratore delegato di Twitter, Tesla e Space X.

Nell’ultima edizione del Global Times, il più influente quotidiano filogovernativo, compare un velato avvertimento nei confronti del tycoon sudafricano secondo un popolare detto cinese traducibile con “goccia che fa traboccare il vaso”. In breve, potrebbero esserci ripercussioni forti per gli asset del miliardario (Tesla in primis, che ha nella Cina il suo secondo mercato mondiale) sul mercato asiatico.

Ma da dove deriva questo improvviso astio? Naturalmente da Twitter, e in particolare dalla reazione di Musk a un post di un utente che riprendeva lo studio del Dipartimento dell’Energia americano sull’ipotesi che il virus sia stato creato in laboratorio (e sposando dunque la teoria delle “fughe”).

L’utente stesso aveva messo inoltre in dubbio la posizione del dottor Antony Fauci, il commissario straordinario americano dell’emergenza de facto, sostenendo che quest’ultimo avesse finanziato questo complotto. Elon ha dato corda al suo follower citando un’associazione no profit, la EcoHealth, che ha ricevuto una cospicua donazione da quasi 8 milioni di dollari in sovvenzioni federali per lo studio dei coronavirus dei pipistrelli in Cina.

Il rapporto di Musk con Pechino è sostanzialmente di amore e odio: nell’ottobre dello scorso anno si è guadagnato le lodi dell’allora ambasciatore cinese negli Stati Uniti, Qin Gang, ora ministro degli Esteri cinese, dopo aver suggerito di offrire alle autorità cinesi un maggiore controllo su Taiwan sotto forma di zona economica speciale. I commenti furono aspramente criticati dai funzionari taiwanesi.