Tra le modalità collaterali della guerra civile in Iran figura anche l’avvelenamento da gas tossico all’interno delle scuole frequentate dalle studentesse. Dallo scorso settembre sono circa 700 i casi segnalati, fortunatamente senza vittime: tuttavia, decine di loro hanno sofferto di problemi respiratori, nausea, vertigini e affaticamento.
La scorsa settimana il procuratore generale ha annunciato l’apertura di un’indagine penale, ma ha affermato che le informazioni disponibili erano talmente scarse da non avere le prove che si tratti di atti criminali premeditati.
È evidente che alcune persone volevano che tutte le scuole, soprattutto quelle femminili, fossero chiuse
Younes Panahi
Studentesse avvelenate con gas tossico, il ruolo della scuola e le indagini
Scorrendo la cronologia, il primo caso si verifica nella scuola tecnica di Qom, città simbolo del musulmanesimo sciita iraniano: in totale sono coinvolti 18 studenti. Da quel momento gli episodi di avvelenamento da gas tossico nelle scuole in Iran si moltiplicano a macchia di leopardo, allargandosi all’intera regione e poi all’intera nazione.
L’epicentro più “colpito” è quello di Borujerd, dove le ragazze che hanno denunciato danni collaterali sono circa 200. Le proteste contro quanto accaduto sono progressivamente aumentate, comunque oscurate da ciò che avviene nella capitale Teheran, dove le manifestazioni antigovernative continuano.
In risposta, molti genitori hanno preferito razionalmente evitare di mandare le loro figlie a scuola, inveendo contro i titolare degli istituti scolastici. In rete può capitare di imbattersi in qualche video che documenta situazioni davvero incredibili, con ragazze completamente imbambolate per aver annusato una sostanza tossica, da molti descritta come una sgradevole puzza di uovo marcio.
Il viceministro della Sanità iraniano, Younes Panahi, ha dichiarato in una conferenza stampa che le presunte sostanze tossiche sono pubblicamente disponibili sul mercato, escludendo così la loro derivazione di tipo militare. Poi ha invitato la comunità a mantenere la calma, pur sbilanciandosi sull’ipotesi che le dinamiche fossero tutt’altro che casuali. Eppure, poche ore dopo le sue esternazioni ecco il dietrofront, in primis perché le accuse non hanno un preciso colpevole.
Tra le versioni più accreditate c’è chi ritiene che l’avvelenamento di massa sia una vendetta per la decisione di molte donne di giovane età di ribellarsi alle tradizioni musulmane, specialmente per quanto riguarda i costumi: è da qui che sono nati i disordini, da un velo non correttamente indossato che ha portato a galla un malumore e una ribellione che covava da tempo.
Sul ruolo delle donne (e in particolare sulla tutela dei loro diritti umani) nella società araba moderna la scuola ha una duplice interpretazione: la posizione ufficiale del governo è quella di promuovere l’istruzione come motivo di vanto, ma i fatti sembrano andare in tutt’altra direzione. E anche le indagini sugli avvenimenti di Qom sono ritenute deboli, con i funzionari che avrebbero accampato giustificazioni assurde pur di mettere a tacere la vicenda.