Omicidio camorra Napoli. Svolta clamorosa nelle indagini sull’omicidio di Liberato Ascione, ucciso nel 2014 nel corso di una faida tra i clan Gionta e Limelli – Vangone per assicurarsi il predominio sul territorio di Torre Annunziata. I carabinieri del gruppo di Torre Annunziata, coadiuvati dal Nucleo Elicotteri Carabinieri di Pontecagnano e dal Nucleo Carabinieri Cinofili di Sarno hanno eseguito un’ordinanza di applicazione della custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Napoli, a carico di due persone. Entrambe sono gravemente indiziate a titolo di concorso in omicidio e del connesso reato in materia di armi, aggravati dal cosiddetto metodo mafioso. Per tale evento criminoso erano già stato condannati gli esecutori materiali.

Omicidio camorra Napoli, arrestati i mandanti

I due mandanti hanno premeditato e organizzato nei minimi dettagli l’uccisione di Liberato Ascione avvenuta nel 2004 nell’ambito della guerra all’epoca in atto tra il clan Gionta e i Limelli – Vangone per assicurarsi il predominio su Torre Annunziata. Una faida che portò a sei omicidi messi a segno tra il 1998 e il 2004 a Torre Annunziata, Boscoreale e Trecase e per i quali stanno scontando 30 anni di carcere gli esecutori materiali di quei delitti: Giovanni Iapicca, Antonino Paduano, Liberato Guarro, Luigi Maresca e Gennaro Longobardi. Otto anni per il solo collaboratore di giustizia Vincenzo Saurro. A cadere sotto i colpi dei killer del clan Gionta furono Ciro Bianco, Domenico Savarese, Ciro Balzano, Angelo, Domenico Scoppetta e, appunto, Liberato Ascione. L’ex dipendente delle Poste, ritenuto dagli inquirenti vicino ai “Limelli-Vangone”, fu ucciso in via Settetermini, nella zona di Boscoreale. Il collaboratore di giustizia Aniello Nasto rivelò alla Direzione Distrettuale Antimafia la strategia dei Valentini: “A Torre Annunziata occorreva far fuori i soggetti già affiliati ai Limelli”. I Limelli erano un clan che disturbava il controllo della droga in città.

Gli altri omicidi

Il primo ad essere punito fu Ciro Bianco detto “O squalo”. Ciro venne ucciso  in via Castello, con 13 colpi di pistola al torace, all’addome e al collo. Il pentito Aniello Nasto raccontò all’Antimafia di Napoli: “E’ la prima persona che ho ucciso. Bianco era ritenuto un confidente delle forze dell’ordine. Inoltre in Montenegro, mentre era latitante, si era appropriato dei soldi del clan”. Poco dopo l’uccisione di Blanco, il clan Gionta colpì altre quattro persone Domenico Savarese, trucidato all’interno della sua autorimessa di Trecase, e poi Liberato Ascione. Due settimane dopo vennero uccisi anche i cognati Carlo Balzano e Angelo Scoppetta. Balzano fu punito in quanto non rispettava le regole del clan. A sparare, per l’inchiesta, fu il killer Umberto Onda: almeno 16 i colpi d’arma fuoco esplosi il 29 settembre 2004 fuori al bar “Ittico Madonna Della Neve”, in via Dogana, a due passi dalla Basilica. La morte di Angelo Scoppetta invece non era prevista. L’uomo si trovata al posto sbagliato nel momento sbagliato in sella ad uno scooter insieme al bersaglio del raid.

La confessione del boss Valentino Gionta

Condannato per associazione camorristica, traffico di cocaina, corruzione, concorso in estorsione ai danni dei grossisti del mercato ittico di Torre Annunziata, duplice omicidio e responsabilità in fatto di voto di scambio è detenuto dal 19 febbraio 1991, infatti nel 1989 aveva ottenuto gli arresti domiciliari a Torre Annunziata. Assieme a lui, avevano beneficiato di questo provvedimento 80 detenuti, tra cui altri presunti camorristi. Valentino Gionta era stato poi accusato nel 2020 di aver riorganizzato il clan ma la sua volontà era quella di difendere anche i suoi familiari, in particolare la moglie Gemma Donnarumma, la figlia Teresa e il genero Giuseppe Carpentieri. Dal carcere l’uomo ha fatto sapere: “Le mie giornate qui sono sempre uguali per questo ho chiesto ai miei familiari di venire più spesso. Perché io qua dentro sto da solo, penso, mi innervosisco e voglio cambiare qualcosa. Voi (riferendosi agli inquirenti, ndr) però vedete in quelle parole solo cose di camorra, invece c’è anche l’affetto verso i miei familiari”.