Finita l’emergenza Covid l’Italia sembra aver dimenticato lo smart Working. Di tutte le misure adottate durante la pandemia, probabilmente era l’unica cosa che avrebbe potuto insegnare qualcosa alle aziende, invece a quanto pare nel nostro paese in molti hanno scelto di lasciarselo alle spalle e fare un passo indietro. Il lavoro agile infatti avrebbe potuto rappresentare un’evoluzione importante ma chissà perché, mentre in altri paesi europei viene messo in atto a prescindere dall’emergenza appena finita, in Italia per molti datori di lavoro rimane un’idea ostica da digerire. È palese invece che per lo smart working sono stati fatti passi indietro e anche se le previsioni per il prossimo anno sembrano essere lievemente aumento fino a 3,63 milioni di lavoratori, grazie al consolidamento dei modelli di lavoro a distanza nelle grandi imprese e a un possibile incremento nel settore pubblico. Perché lo smart working in Italia non prende piede? Da una parte c’è la diffidenza dei manager di stampo ‘tradizionale’ nell’assegnare piena autonomia e responsabilità ai dipendenti, dall’altra la difficoltà nell’applicare il lavoro agile alle piccole imprese, di cui il nostro tessuto imprenditoriale è ricco.
Smart Working in Italia, in calo le percentuali di chi sceglie di adottarlo
Secondo l’Inapp più le imprese sono piccole e meno sono adatte al lavoro agile: l’84% dei lavoratori delle imprese fino a 5 dipendenti svolge mansioni che non possono essere “smartabili”, percentuale che passa al 56,4% per quelle medie e al 34,2% per quelle con più di 250 addetti. Attualmente si stima che i lavoratori pubblici a cui è data la possibilità di lavorare da remoto siano 570mila, il 33% in meno rispetto allo scorso anno. In particolare, l’utilizzo dello smart working è stato adottato nel 2022 solo nel 57% degli enti, a fronte del 67% dell’anno precedente, con in media 8 giorni di lavoro da remoto al mese. Le previsioni per il 2023 sono per un’inversione di tendenza, con una crescita prevista di circa il 20% del numero di lavoratori pubblici coinvolti. Tra l’altro lo smart working ha fatto scoprire, durante la pandemia, ai lavoratori il piacere di sfruttare i momenti di pausa per occuparsi di dinamiche familiari o anche per prendersi spazi personali molto più agevolmente, senza intaccare l’orario o gli impegni professionali. In più è stato dimostrato che chi lavora da casa subisce uno stress inferiore rispetto a chi è ‘costretto’ ad andare sul posto di lavoro, influendo positivamente anche sul rendimento. Senza considerare il tempo del viaggio che si risparmia tra andata e ritorno, soprattutto nelle grandi città.
I vantaggi dello Smart Working, risparmi per i lavoratori ma anche per aziende
A Roma secondo i dati raccolti da Enea il tempo speso in macchina è mediamente di due ore al giorno. Il risparmio, anche sulle spese per i trasporti, per i lavoratori tra l’altro non è da sottovalutare, ma anche le aziende hanno i loro vantaggi. Tantissimi studi hanno dimostrato che i vantaggi dello smart working infatti non sono solo per i dipendenti ma sono anche per le aziende e la collettività. Secondo i risultati della ricerca 2022 dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, un lavoratore che operi due giorni a settimana da remoto risparmia in media 1.000 euro all’anno per effetto della diminuzione dei costi di trasporto (anche se poi spende 400 euro in più per i consumi domestici). Le aziende, invece, beneficiano di una riduzione dei consumi di circa 500 euro l’anno per ciascuna postazione. Il risparmio lievita fino a 2.500 euro l’anno a lavoratore se l’impresa decide di ridurre gli spazi della sede del 30%. E a risparmiarci, in termin di smog, sono anche le città. Con meno traffico e macchine in giro naturalmente c’è in beneficio anche a livello ambientale. Infine ci sono da aggiungere i benefici a livello ambientale che si ottengono dalla riduzione delle emissioni di CO2, stimate in circa 450 Kg annui per persona (considerando i mancati spostamenti, la riduzione delle emissioni nelle sedi delle aziende e il conteggio di quelle addizionali dovute al lavoro dalla propria abitazione). Prendendo a riferimento il numero degli smart worker attuali, pari a 3,57 milioni, l’impatto a livello di sistema Paese è pari a 1.500.000 Ton annue di CO2, paragonabile alla quantità assorbita da una superficie boschiva di estensione pari a circa 8 volte quella del comune di Milano. C’è da considerare poi che nelle imprese dove si adotta lo smart working si registra un aumento della produttività e del benessere dei dipendenti (meno giorni di malattia e di ferie), che rimanendo a casa riescono ad evadere pratiche per cui magari dovrebbero prendersi dei giorni di ferie. E così mentre in Europa si sperimenta la settimana corta (con successo), in Italia si continua a discutere di vantaggi e svantaggi dello smart working.