Con il titolo “Il dramma degli stipendi italiani” Federcontribuenti traccia un quadro altamente desolante dello scenario reddituale italiano. Il presidente dell’associazione, Marco Paccagnella, commenta così i dati dell’indagine condotta sul tenore di vita della popolazione lavorativa, partendo dai valori principali (reddito e tasso di occupazione) per scavare più in profondità e fare un confronto con ciò che accade oltre i confini nazionali.
Partendo dai due parametri più evidenti, secondo i dati Istat il tasso di occupazione nel nostro Paese è pari al 58%, mentre nel resto dell’Ue è del 70%: al contempo, “oltre la metà degli italiani percepisce uno stipendio inferiore a 1.100 euro e lavora senza turni, giorni di riposo e orari adeguati“.
Stipendi italiani, siamo più poveri rispetto ai livelli di reddito del 2008
Questo indice arriva un mese dopo un’altra indagine di Federcontribuenti, in cui veniva accertato il crollo dei valori Isee delle famiglie italiane: -48% rispetto ai valori della pre pandemia. Ma il dato ancor più preoccupante riguarda il parallelo tra il 2022 e il 2008, dove lo stipendio medio di un lavoratore italiano è sceso del 12%: a dirlo è l’autorevole Ilo, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro.
Alla luce di quel risultato estremamente sconfortante in prospettiva, Federcontribuenti aveva lanciato l’allarme al governo, estendendo il discorso anche al capitolo pensioni. Come sappiamo, però, la direzione dell’Esecutivo è contraria alle forme di sussidi, basti pensare alla futura abolizione del reddito di cittadinanza.
Da qui si dipanano altri scenari che riguardano anche la posizione dell’Agenzia delle Entrate, denominata “occhio ciclopico”. Seguendo il filo logico del discorso, viene presentato il dato sulla distribuzione della forza lavoro:
Il 95% della forza lavoro in Italia è rappresentata da aziende con meno di 10 dipendenti
Poco sotto si sottolinea come questa nicchia delle Pmi rappresenti “la categoria dei clienti fissi di Agenzia delle entrate e delle banche”. Dura la presa di posizione contro il Fisco, che “si accanisce con continui bombardamenti e costi sul lavoro”, ricordando “che l’Inps denuncia da tempo una situazione finanziaria in pesante perdita”.
C’è poi il grande tema della precarietà, impersonificato dalle partite Iva: stando ai calcoli di Federcontribuenti, “solo l’1% degli autonomi dichiara di guadagnare più di 100mila euro, mentre il restante 95% fatturano circa 30mila euro l’anno lordi”. Poi, una serie di detrazioni che portano a una sola conclusione:
Come può dunque un imprenditore garantire uno stipendio adeguato, se è costretto a vivere con solo il 30% di ciò che guadagna?
La domanda di fondo è dunque legittima: gli italiani saranno più poveri in futuro? Secondo l’associazione pesa la combo del gettito fiscale elevato insieme a condizioni contrattuali disumane. Con questo meccanismo “si continuerà a sopravvivere di sussidi e mai di investimenti per lo sviluppo economico sul lavoro”.