“La vita virtuale sostituisce la vita reale. Le relazioni tra le persone non sono più fisiche ma digitali”. L’affermazione perentoria è del vicedirettore del Corriere della Sera Aldo Cazzullo e non si può che dargli ragione. “Però – osserva – nelle piazze elettroniche si possono commettere impunemente reati che in quelle fisiche sono giustamente perseguiti. Questo non può continuare a lungo. È troppo facile offendere una persona sui social. È troppo facile minacciarla, ingannarla, danneggiarla, rovinarla. È troppo facile estorcere denaro a un anziano, una foto intima a un adolescente, fiducia a chiunque di noi”. Secondo Cazzullo “tutto questo accade perché è troppo facile aprire profili «fake» o comunque anonimi, dietro cui celare la propria vigliaccheria. Si potrebbe replicare: questi reati esistono già. La diffamazione”. Ma i tribunali sono intasati e la giustizia arriva molto spesso troppo tardi. La ricetta “è obbligare i padroni della rete a non consentire più l’apertura di profili falsi o comunque anonimi”. 

Diffamazione digitale. Le parole sono armi, possono offendere o difendere

E’ indispensabile farlo perchè “le parole sono armi – come dice Gianrico Carofiglio – E le armi possono offendere ma anche difendere, sono strumenti potenti. Possono cambiare il mondo in una direzione migliore, se usate in maniera consapevole. Allora molte cose vengono da sé. Il tema è diventare consapevoli, dei cittadini responsabili. La consapevolezza è parte di una cura in cui rientra anche la cura del linguaggio. È un tirocinio per diventare membri nella comunità e non sudditi”. E per diventare cittadini consapevoli occorre far capire a tutti che le regole della convivenza civile non sono bandite dal mondo digitale.

Stefano Bisi