Nuovo atto vandalico nella notte alla targa in memoria di Umberto Lenzini. Inaugurata martedì 22 febbraio in zona Boccea all’interno del Parco Lenzini per commemorare il Presidente del primo scudetto della Lazio. Prima è stata imbrattata di giallo e di rosso con l’Ama che è intervenuta immediatamente a pulire la targa, i vandali hanno quindi deciso di rompere la lastra di marmo nella parte della scritta ‘Lazio’. Ennesimo caso di memoria infangata di un personaggio che ha fatto la storia dello sport nella Capitale.
Il Sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, ha denunciato su Twitter lo sdegno verso questo insano gesto di inciviltà: “Vergognosi i continui atti vandalici contro la targa che Roma ha doverosamente dedicato alla memoria di UmbertoLenzini. Verrà sempre ripristinata. Sporgeremo denuncia contro i responsabili, non la passeranno liscia“.
La denuncia
“Ho presentato denuncia alla Digos contro ignoti per l’ennesimo danneggiamento della targa del Parco Lenzini, segnalando la rivendicazione sui social dell’atto vandalico da parte di un soggetto non ancora identificato”, ha affermato l’assessore capitolino allo Sport Alessandro Onorato. “È il secondo danneggiamento in meno di 36 ore nel parco di via Vezio Crisafulli, che solo due giorni fa con il sindaco Gualtieri abbiamo intitolato al presidente dello scudetto della Lazio del ’74. Un’azione vigliacca, oltre che insensata. Il tifo vero si fonda su onore, ideali e amore per il calcio che nulla hanno a che fare con questa violenza. La storia calcistica delle squadre romane è un patrimonio che appartiene a tutta la città, che abbiamo il dovere di valorizzare e di tramandare. Ho contattato la as Roma e la ss Lazio affinché scendano in campo insieme all’amministrazione con iniziative per i giovani e nei quartieri. Per valorizzare il tifo sano e per testimoniare grande unità contro ogni forma di violenza, di prevaricazione, di offese a simboli che appartengono alle squadre e alla città”.
Lo sfogo della nipote
La nipote di Lenzini, Federica, ha pubblicato sui social una foto della targa spaccata: “L’As Roma dovrebbe scusarsi per quello che sta succedendo alla onorificenza data dalla Capitale a un uomo che non solo è stato il più grande presidente della Lazio, ma ha costruito gran parte degli edifici a Roma negli anni 70. Forse qualche romanista vive in case costruite da Lenzini o il padre è stato un operaio di mio nonno. Chi ha compiuto questo gesto è solo un vile. Noi abbiamo un altro dna. Questione di stile”.
Chi era Umberto Lenzini?
Umberto Lenzini nacque a Walsenburg, in Colorado, da una famiglia originaria dell’Appennino Modenese. Tornata in Italia, la famiglia investì il denaro guadagnato oltreoceano nell’acquisto di alcuni terreni nei dintorni di Roma.
Il giovane Lenzini divenne calciatore professionista con le maglie di Pistoiese, Rondinella, Fortitudo e Juventus Roma. Vinse anche i campionati giovanili di atletica leggera, vantando un record di 11 secondi netti nella sua specialità, i 100 m. Divenne imprenditore di successo nel ramo delle costruzioni civili con l’impresa che portava il suo nome, edificando nell’area nord-occidentale della Capitale all’epoca ancora disabitata.
Nel 1964 entrò nei quadri dirigenziali della Lazio come consigliere; nel 1965, a seguito di una crisi che vide la proprietà opporsi ad alcuni giocatori per questioni di compensi, divenne vicecommissario della società e, il giorno 18 novembre, presidente e maggior azionista del club biancoceleste.
Nel 1969, con la formazione militante in serie cadetta, il Sor Umberto fece gli acquisti che si rivelarono essere tra i più importanti della sua gestione e della storia recente della squadra, quelli di Giorgio Chinaglia e di Giuseppe Wilson, rilevati per duecento milioni di lire dell’epoca dall’Internapoli. I due giocatori furono l’ossatura della squadra che, grazie alla guida tecnica di Tommaso Maestrelli, tornarono in serie A e, nel 1973-74 riuscirono a dare alla Lazio il primo scudetto della sua storia.
Successivamente, sotto la sua gestione, la squadra dovette affrontare rovesci di tipo extrasportivo come la lunga malattia e la successiva scomparsa del tecnico Maestrelli, la morte del calciatore Luciano Re Cecconi, ucciso da un gioielliere romano nel gennaio del 1977 per un fatale equivoco e lo scandalo delle scommesse clandestine del 1980 che vide diversi giocatori arrestati dalla Guardia di Finanza con le accuse di frode sportiva poi decadute. Dopo tutto questo caos Lenzini passò la presidenza a suo fratello Aldo, che la cedette poco tempo dopo ad altri. Per i suoi modi bonari era stato ribattezzato dai tifosi laziali «papà Lenzini».