Dopo 11 anni dai fatti si torna ad indagare, in provincia di Torino, sull’omicidio di Giovanni Marco Chisari, il 38enne trovato morto nelle campagne di Villaretto di Borgaro con un chiodo conficcato in fronte e carbonizzato, nel 2012. Sarebbero due, ora, le persone iscritte nel registro degli indagati, due fratelli, entrambi italiani: ad indirizzare i sospetti degli inquirenti verso di loro sarebbe stata una lettera anonima.
Omicidio Giovanni Marco Chisari: si torna a indagare sul caso
“Identificato l’uomo carbonizzato: è un uomo di 38 anni”. Così i giornali datati 16 marzo 2012 titolano la notizia dell’identificazione del cadavere rinvenuto il giorno prima in un fosso a Villaretto di Borgaro, in provincia di Torino: il corpo, carbonizzato dopo essere stato seviziato, appartiene a Giovanni Marco Chisari, 38enne residente nel quartiere Villette, disoccupato e con alle spalle qualche piccolo precedente per droga. A dare l’allarme è il padre: suo figlio – dice alle forze dell’ordine – è scomparso dal giorno prima: il cadavere ritrovato potrebbe appartenere a lui. A confermarlo è l’esame autoptico effettuato dal medico legale, che chiarisce anche le cause della morte: il ragazzo sarebbe stato ucciso con sette colpi in testa, sferrati con un corpo contundente.
Ma i risultati dell’autopsia svelano anche altro: Il corpo, come si legge nella nota che la accompagna, sarebbe stato infilato in un sacco di nylon, trasportato mediante corde utilizzate come maniglie e poi bruciato nel fosso dove è stato rinvenuto, in via Santa Cristina, proprio davanti l’omonima cascina. Secondo successive ricostruzioni, la vittima potrebbe essere stata uccisa come punizione, al culmine di una rapina. “Vado a rubare”, avrebbe infatti detto Chisari al fratello prima di uscire di casa, la sera del delitto: l’ipotesi è che possa aver sbagliato il suo bersaglio, prendendo di mira l’abitazione di una famiglia legata alla malavita organizzata e con una grande influenza nell’area tra Caselle e Borgaro.
Forse il 38enne si sarebbe recato lì senza sapere chi vi abitasse e, una volta scoperto dai proprietari, sarebbe stato torturato con una violenza inaudita e poi ucciso per lanciare un segnale ad altri balordi. Sul caso, però, non si è mai riusciti a fare chiarezza. Ora, a 11 anni dal delitto, una nuova pista potrebbe finalmente portare a una sua risoluzione: una lettera anonima avrebbe infatti permesso agli inquirenti di riaprire le indagini, iscrivendo nel registro degli indagati due possibili sospetti, due fratelli: Ivan Marcello e Alessandro Meloni. Il primo sarebbe accusato di omicidio premeditato; il secondo di aver aiutato il primo a liberarsi del cadavere.
Cosa si sostiene all’interno della lettera anonima
Una morte, quella di Chisari, che somiglia a tutti gli effetti a un’esecuzione: i suoi aguzzini, secondo le ricostruzioni, gli avrebbero perfino conficcato un chiodo in fronte, usando un’asse di legno. Poi, ancora vivo, dopo averlo legato con del fil di ferro, gli avrebbero dato fuoco. A chiarire il movente sarebbe stata proprio la lettera, recapitata da anonimi al pm Dionigi Tibone, che si sta occupando del caso. Secondo il mittente, l’omicidio Chisari sarebbe connesso ad un furto commesso, a inizio marzo 2012, in via Sansovino, nella villa di uno dei due sospettati, il genero di “uno con diversi guai con la giustizia”. Chi ha inviato la lettera, però, sostiene anche che la vittima fosse stata incastrata dai reali autori del furto e spinta a prendersi la colpa al loro posto. Saranno le nuove indagini affidate ai carabinieri del comando provinciale a chiarire se possa essere andata così. “Marco Chisari? Lo incrociavo qualche volta in zona, nulla di più”, si sarebbe limitato a dire, per ora, Ivan Marcello Meloni, nel corso dell’interrogatorio di un’ora e mezza tenutosi ieri davanti al magistrato.