Harvey Weinstein condanna a 16 anni di carcere da un tribunale di Los Angeles. La decisione è avvenuta al termine del secondo processo nei suoi confronti per molestie e stupri.
Harvey Weinstein condanna per stupro. Ecco la sentenza
La ricostruzione stabilita dalla sentenza odierna ha fatto emergere la certezza che il produttore ex “Re di Hollywood” finirà i suoi giorni dietro le spalle. L’udienza per la definizione della pena arriva a quasi due mesi dopo il verdetto della giuria che aveva riconosciuto Weinstein colpevole di aver stuprato un’ex modella e attrice russa, arrivata da Los Angeles a Roma per un festival cinematografico nel febbraio 2013.
Alla condanna odierna si accumula anche quella a 23 anni già inflitta al 70enne a New York per accuse simili. Il produttore, intervenuto in aula, si è proclamato innocente. La donna vittima degli abusi è stata identificata solamente col nome fittizio di “Jane Doe 1”, è scoppiata in lacrime nel momento in cui Weinstein prendeva la parola.
La sentenza emessa dal giudice Lisa B. è stata emessa dopo aver rifiutato la mozione per un nuovo processo, presentata dai legali dell’ex produttore. La giuria aveva già emesso la sentenza di colpevolezza a dicembre, condannando Weinstein per le accuse di stupro e aggressione sessuale ai danni della donna.
Nella fase del processo sono state ascoltate numerose persone, a testimoniare, perlopiù donne sconvolte nel rievocare veri e propri assalti da parte di Weinstein.
Al termine il verdetto si è concentrato però, sulle accuse di quattro donne che risalgono al periodo tra il 2005 e il 2015.
La giuria era composta da otto uomini e quattro donne.
Una delle accusatrici che ha inchiodato Weinstein è una modella di origine russa che nel febbraio 2013, ha testimoniato di trovarsi a Los Angeles per un Festival del Cinema italiano, quando il produttore è arrivato senza invito nella sua camera d’albergo a Beverly Hills e l’ha violentata.
Da Re di Hollywood a molestatore sessuale
L’ex Re di Hollywood, è diventato dal 2017 simbolo di una cultura di molestie sessuali endemica nelle stanze del potere. Tutto ciò, ha dato vita al movimento #MeToo. La seconda condanna arriva a 16 anni di prigione arriva in aggiunta alla precedente di 23 anni per cui è già in carcere.
Al Clara Shortridge Foltz Criminal Justice Center di Los Angeles lo scorso 19 dicembre era stato riconosciuto colpevole da una giuria di nove uomini e tre donne che all’unanimità avevano dato per vera la testimonianza di una ex modella e attrice russa che all’epoca viveva a Rima.
La donna, a quei tempi aveva 34 anni, e lo aveva accusato di averla stuprata nella sua camera d’albergo nei giorni dell’edizione 2013 del Festival Los Angeles-Italia. Nello stesso mese, i giurati avevano invece respinto le accuse di violenza sessuale di una massaggiatrice, mentre per altre due donne non erano riusciti a trovare un accordo. Una di queste è Jennifer Siebel: si tratta della moglie del governatore della California Gavin Newson.
Prima della lettura della sentenza di oggi, vi erano due mozioni procedurali: la richiesta dell’avvocato Gloria Allred di far ascoltare in aula le altre tre accusatrici e quella della difesa di Harwey Weinstein, che aveva chiesto un nuovo processo sostenendo che prove importanti sul caso “Jane Doe n.1 non erano state ammesse durante il procedimento. Demi messaggi present su Facebook e scambiati con un altro testimone, l’organizzatore del Festival, Pascal Vicedomini, ne minerebbero la credibilità.
Così, la Procura di Los Angeles, sempre a dicembre aveva raccomandato per Weinstein un minimo di 24 anni con riduzioni di pena da scontare una volta esaurita la prima condanna. Quando avverrà tale momento, Weinstein, che oggi ha 70 anni, sarà arrivato alla soglia dei 90. Rimangono a questo punto incertezze legali sul destino dell’ex Tycoon, sia a New York che in California. La Corte Suprema dello Stato di New York ha accettato di ascoltare un appello rispetto alla prima condanna. I magistrati della California invece, devono ancora esprimersi sulla possibilità di portarlo di nuovo in giudizio per i capi di accusa su cui la giuria non è riuscita a mettersi d’accordo.