Alberto Sordi ha incarnato la maschera perfetta della Commedia all’Italiana e vogliamo ricordarlo con i suoi film a 20 anni dalla morte.

Alberto Sordi, ricordiamolo con i suoi film a 20 anni dalla sua morte

Alberto Sordi ha incarnato la maschera perfetta della Commedia all’Italiana, con film che hanno mostrato vizi e virtù – più i primi delle seconde… – dell’italiano medio, attraverso alcuni dei periodi più convulsi, difficili, sfaccettati della storia d’Italia. L’attore, nato a Roma il 15 giugno del 1920, ha vissuto e interpretato, con le pellicole cui ha preso parte, i mutamenti del paese dal Secondo dopoguerra fino agli ultimi anni del secolo scorso. Dopo un inizio di carriera nei fotoromanzi e come doppiatore, Sordi trova la sua dimensione nella commedia all’italiana, contribuendo in modo significativo a plasmare quel fenomeno culturale che avrebbe dato lustro al cinema del Belpaese per quasi tre decenni.
Attore e, al tempo stesso, autore, Sordi si fece interprete delle contraddizioni dell’Italia e delle sue istituzioni, e specchio dei difetti dei suoi abitanti, mettendoli in scena nell’unico modo consentito e possibile, per evitare il fastidio e la conseguente ritrosia del pubblico: con la risata. La sua ‘maschera’, priva di elementi dichiaratamente comici, era perfetta per mettere alla berlina l’indolenza, la vigliaccheria, la cialtroneria e la cattiveria volontaria e involontaria dell’italiano medio che, guardandolo sul grande schermo, rideva di se stesso, più o meno consapevolmente. Una capacità di lettura e interpretazione della società che non ha eredi nella storia, anche attuale, del cinema italiano, come giustamente sottolinea Enrico Vanzina.

Alberto Sordi, curiosità sui suoi film: il sodalizio con Federico Fellini

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Alberto Sordi e Federico Fellini.

Inizialmente, l’antipatia del personaggio incarnato da Sordi sembrava potesse rappresentare un ostacolo alla sua carriera. È all’inizio degli anni Cinquanta che l’attore comincia a delineare quella maschera che sarebbe diventata così simbolica e centrale nell’immaginario del cinema e della cultura italiani. Ci riesce con la collaborazione di Federico Fellini, vecchi amico con il quale aveva condiviso gli anni difficili della gavetta squattrinata e priva di successo. Il regista di Rimini lo dirige prima ne Lo Sceicco Bianco e poi ne I vitelloni. Due film nel giro di due anni con i quali Sordi dà vita a quel personaggio che, in seguito, non lo avrebbe mai più abbandonato. Il primo, uscito nel 1952, è una satira feroce sul mondo dello spettacolo e sull’ignoranza provinciale italiana, nel qual Sordi interpreta un attore dei fotoromanzi donnaiolo, pavido e meschino, che si approfitta dell’ingenuità un po’ sciocca di una giovane sposa innamorata di lui.
Il film è un insuccesso di pubblico e critica ma questo non impedisce a Fellini e Sordi di riprovarci l’anno seguente con I vitelloni, ritratto pungente, ironico e, al tempo stesso, amaro dei giovani di provincia che il regista conosce bene, insofferenti alle responsabilità e venati da un moralismo disimpegnato. Celebre la sequenza con Sordi che sbeffeggia gli operai da un’automobile, che poi si ferma per un guasto, lasciandolo in balia dei lavoratori.

Il trailer de I vitelloni (1953).

Albero Sordi, mille facce per una sola Italia

Ma in cosa consisteva la famosa ‘maschera’ di Alberto Sordi?
In realtà, si potrebbe benissimo parlare di facce e caratteri diversi con i quali Sordi tratteggiava tic, sfumature, psicosi degli italiani. Personaggi di volta in volta differenti che, però, incarnavano quanto di peggio fosse presente, in modo più o meno manifesto, nel tessuto sociale del nostro paese.
Pensiamo al Nando Mericoni (o Meliconi, o Moriconi: non c’è mai stata chiarezza in merito) di Un giorno in pretura (1953) e Un americano a Roma (1954), romano ‘vittima’ del colonialismo culturale e cinematografico americano, al punto da riproporne una versione ‘di borgata’ esilarante e ridicola. O a Otello Colletti, protagonista de Il vigile (1960), punito per la sua intransigenza nei confronti di un sindaco, simbolo del potere intoccabile e immune alla legge, tipico dell’Italia. Oppure, da ultimo, al Silvio Magnozzi di Una vita difficile (1961), scritto dall’amico e mentore Rodolfo Sonego e ispirato alle sue memorie di ex partigiano poi divenuto scrittore nella Roma del dopoguerra: personaggio prima eroico, poi vigliacco e, infine, redento, che, con la regia di Dino Risi, offre un ritratto malinconico della fine di ogni ideale. Un capolavoro che, ironia della sorte, Sordi non voleva inizialmente interpretare, spaventato all’idea che il pubblico non lo avrebbe accettato nei panni di una figura positiva e, per di più, di simpatie comuniste.

Il trailer di Una vita difficile (1961).

Alberto Sordi, Mario Monicelli e i ‘mostri’ della commedia all’italiana

Sono quelli gli anni in cui la commedia all’italiana si afferma definitivamente come grande genere popolare, capace di portare il cinema italiano a livelli concorrenziali con le grandi pellicole provenienti dagli Stati Uniti.
Ci riesce grazie a registi quali Mario Monicelli, Ettore Scola, Nanni Loy e Luigi Zampa, per i quali Sordi diventa uno dei punti di riferimento imprescindibili, in compagnia degli altri ‘volti’ che avrebbero segnato quella stagione d’oro del nostro cinema: Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman e Nino Manfredi. I loro ‘mostri’ – dal titolo di un film-simbolo dell’epoca, diretto da Dino Risi nel 1963 – raccontano cinicamente di un Italia che passava dalle macerie disperate della Seconda Guerra Mondiale, all’edonismo ante-litteram del boom economico degli anni Sessanta, precipitando nel cinismo e nella spregiudicatezza più gretti.
Con Monicelli, in particolare, Sordi realizza ben otto film dei circa 190 girati in tutta la sua carriera. Lo sguardo dei due sull’Italia gli consente, dapprima, di smitizzare il racconto glorioso e falsamente celebrativo dell’avventura italiana nella Prima Guerra Mondiale in La Grande Guerra (1959), tragi-commedia in costume con protagonisti due vigliacchi (Sordi e Gassman) che, dopo aver tentato di sfuggire al conflitto per tutto il film, alla fine, per testardaggine, orgoglio e un rigurgito di amor proprio e di patria, muoiono da eroi.

Il trailer de La Grande Guerra (1959).
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Alberto Sordi in una scena de Il Marchese del Grillo.

Una satira feroce verso il malcostume italiano che Sordi e Monicelli replicheranno in altre pellicole fino a Il Marchese del Grillo, film con il quale i due co-autori, si fanno beffe della regressione morale dell’Italia del loro tempo, gli anni Ottanta anticamera di tangentopoli, mostrandola metaforicamente attraverso un racconto ambientato nella Roma all’epoca del potere temporale del Papa, dove gli aristocratici godevano impuniti dei soprusi perpetrati ai danni della povera gente.
Ma è con Un borghese piccolo piccolo del 1977 che Sordi e Monicelli confermano la profondità della loro lettura sui mali dell’Italia. All’apice della stagione terroristica, in un clima di incertezza e paranoia diffuse, alla vigilia del sequestro di Aldo Moro, i due confezionano una pellicola che disegna la tragedia cui sembra destinato quel paese che hanno raccontato così bene con la facciata della commedia.
La storia è quella di un altro, l’ennesimo, italiano medio (Sordi) che prova a ottenere un favoreggiamento per suo figlio in un concorso ministeriale. Ottenuto il favore, esso si rivela inutile perché il ragazzo muore assassinato a seguito di una rapina. Sarà proprio suo padre a dare la caccia all’assassino, finendo col torturarlo e ucciderlo, mostrando il volto violento e spietato di quella piccola borghesia italiana solo apparentemente innocua e mite.

Il trailer di Un borghese piccolo piccolo (1977).

Alberto Sordi con i suoi film ha dato al pubblico italiano uno strumento che lo mettesse di fronte ai suoi difetti, per riderne di gusto e, al tempo stesso, riflettere su di essi. Uno sforzo creativo notevole e inimitabile, ben evidenziato proprio dalle parole di Mario Monicelli:

“Sordi ci ha messo nelle mani un tipo, vile, ipocrita, conformista, frutto di una intelligenza del costume che è straordinaria. Ha cercato di divertire con questo personaggio e questo è veramente il massimo che un attore può fare. Non era mai successo prima, infatti, che si potesse far ridere il pubblico con delle caratteristiche negative, francamente un po’ abbiette. È in questo che sta il suo sforzo creativo”.

Una creatività che manca – al cinema, alla cultura e alla società italiana – da ormai vent’anni, ogni anno più del precedente.

Per approfondire temi e curiosità legate al cinema, l’appuntamento è con Buio in Sala, la domenica dalle 20 alle 22 su Radio Cusano Campus.