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Riforma pensioni 2023: l’uscita anticipata condizionata dal lavoro

Una delle novità della Riforma pensioni 2023 riguarda l’uscita anticipata condizionata dall’attività lavorativa. L’INPS nello stabilire l’età del pensionamento terrà conto dell’attività lavorativa svolta.

A chiarire quest’ultima novità il presidente dell’INPS, Pasquale Tridico che ha spiegato i criteri della nuova formula previdenziale. Un modo semplice che pone in rilievo i lavoratori che vantano sulle spalle carriere discontinue e con carenza contributiva.

Per questo, per la realizzazione della nuova misura entreranno in gioco altri elementi centrati sulla vita del lavoratore, ecco perché, il lavoro svolto viene associato l’uscita anticipata, più precisamente all’età di pensionamento.

Riforma pensioni 2023: maggiore flessibilità per l’età di pensionamento

La nuova misura proposta da Tridico sembra trovare terreno fertile nella maggioranza politica, ma frenata dai sindacati. Il presidente dell’INPS spinge verso una modifica sostanziale dell’intero quadro previdenziale per il bene del Paese e per garantire la sostenibilità dei conti pubblici.

Secondo Tridico solo rendendo maggiormente flessibile l’età di pensionamento si attiva un percorso previdenziale avanzato e perfettamente in linea con la sostenibilità del sistema. In altre parole, il futuro pensionistico non sarà più connesso al montante contributivo, ma all’attività di lavoro eseguita nell’arco della carriera lavorativa.

In questo modo, i lavoratori usuranti e faticosi verrebbero scissi dalle attività lavorative che possono essere eseguite anche con un’età più avanzata.

Cosa cambia nel 2023 per le pensioni?

Secondo il presidente dell’INPS l’orientamento sulla riforma portato avanti da governo e sindacati tende grossolanamente a favorire la categoria dei lavoratori forti. In buona sostanza, il vantaggio pensionistico verrebbe riservato a coloro che vantano sulle spalle carriere continue e prospere. 

Nello stesso modo, non appare nulla indirizzato alla categoria dei lavoratori deboli, ovvero coloro che rientrano nelle carriere discontinue, meno prospere e con pochi contributi.

Non sono pochi i casi di lavoratori che non hanno maturato 20 anni di contribuzione, che pur volendo non hanno perfezionato un trattamento più alto di 1,5 volte l’assegno sociale.

In questo contesto, emerge un’altra realtà fatta di lavoratori che raggiungono a fatica 50 o 40 anni di lavoro per lo più svolto nel complesso mondo del precariato e con stipendi sotto la media.  Il problema è che questi lavoratori non trovano spazio nella riforma pensioni, né tantomeno, sono oggetto di discussioni.

Il governo italiano e le parti sociali puntano nell’inserire nel sistema previdenziale italiano la misura Quota 41 per tutti i lavoratori, ma cosa accade per chi non riesce a maturare 41 anni di versamenti contributivi? Quali sono le alternative per gli altri? Sì, perché volendo fare due conti, viene garantita la sostenibilità ma non la pensione per tutti i lavoratori.

 Quali sono le ultime novità sulla pensione?

Il presidente dell’Ente nazionale della previdenza sociale propone una riforma pensioni improntata su considerazioni diverse, andando a tutelare la parte fragile del sistema, considerando che non tutti possono svolgere l’attività lavorativa alla stessa età.

Per assurdo, ad esempio un dottore può restare sul posto di lavoro fino a 70 anni, ma sarebbe assurdo chiedere a un operaio impiegato nell’edilizia o un lavoratore appartenente alle attività gravose e usuranti, come i camionisti di restare fino a 70 sul posto di lavoro.

Peraltro, c’è da chiedersi quali prospettive prevedono il governo e parti sociali per queste categorie di lavoratori.

Lo stesso anticipo pensionistico Ape sociale, permette un prepensionamento a 63 anni, ma solo in presenza di un montante contributivo di almeno 30 anni di contributi e solo per determinate categorie di lavoro.

Secondo numerosi esperti, solo intervenendo oggi si potrà arrivare al 2050 garantendo la sostenibilità dei conti pubblici. Infatti, è necessario intervenire con misure che tutelino la parte debole della comunità, ovvero chi realmente ha bisogno di ricevere una mano per la pensione, coloro che non possono restare sul posto di lavoro fino a 70 anni di età sperando di ricevere finalmente la pensione.  

Le discussioni in materia previdenziale sono ancora al vaglio del Governo e parti sociali, non si esclude una rivisitazione della misura Opzione donna, forse il reintegro delle precedenti disposizioni o nuove prospettive per la pensione integrativa vista come lo strumento per garantire una pensione futura almeno equa.


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Antonella Tortora

Ho iniziato ad occuparmi della stesura di articoli fin dal 2017, concentrandomi dapprima nel settore fiscale per imprese e famiglie, per poi allargare i miei interessi su un orientamento previdenziale. Redattrice Senior per giornali online scrivo in ottica SEO, temi di economia, pensioni, lavoro e diritto.

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