È avvenuto oggi, nell’aula della Corte d’Assise di Busto Arstizio, il primo incontro di Nicolò Maja con il padre, accusato dell’omicidio della moglie Stefania e della figlia Giulia, uccise nella notte tra il 3 e il 4 maggio scorso nella villetta di famiglia a Samarate, in provincia di Varese. Il giovane, unico sopravvissuto alla strage, ancora costretto in sedia a rotelle, si è presentato in Tribunale con una maglietta nera raffigurante le due vittime e, dopo aver visto l’imputato, si è detto “più tranquillo”.

Strage di Saramate oggi Nicolò in aula per il processo a carico di suo padre

Costretto ancora in sedia a rotelle e provato da una serie di interventi chirurgici, Nicolò Maja si sarebbe recato in aula per rivedere il padre, Alessandro, in carcere dallo scorso maggio dopo aver ucciso la moglie, l’altra figlia Silvia e aver ferito gravemente lo stesso Nicolò a colpi di martello. Per l’occasione, avrebbe deciso di indossare una maglia con stampate le foto delle vittime, un “gesto simbolico”, come ha spiegato il nonno, Giulio Pivetta, al Giorno. Accompagnato da lui e dallo zio, Mirko Pivetta, Nicolò avrebbe rivolto a lungo il suo sguardo verso il padre, nella gabbia a pochi metri di distanza. “Non è stato facile rivederlo – ha poi dichiarato -, ma adesso sono più tranquillo. L’ho guardato ma non so se lui mi ha visto. Gli vorrei parlare, vorrei chiedergli perché ha deciso di rovinare la nostra vita”. E ha poi aggiunto: “Ho scelto di indossare una maglietta con la foto di mia sorella e di mia madre perché volevo portarle con me, sono loro che mi danno la forza per andare avanti”.

Nel corso dell’udienza, la Corte ha oggi conferito l’incarico per la perizia psichiatrica nei confronti di Alessandro Maja per valutare “la sua capacità di intendere e di volere” all’epoca dei fatti. Era la notte tra il 3 e il 4 maggio scorso quando, all’interno della villetta familiare a Samarate, nel Varesotto, l’uomo, 57 anni, geometra di professione e titolare di uno studio a Milano, aveva massacrato a colpi di martello la moglie, Stefania Pivetta, 56 anni, e la figlia Giulia, di 16 anni, riducendo in fin di vita il primogenito Nicolò, unico sopravvissuto alla strage. Aveva poi tentato di suicidarsi, senza riuscirci; fermato dalle forze dell’ordine, aveva subito ammesso le sue responsabilità nel delitto, rivelando agli agenti di aver agito per “l’ossessione dei debiti” scaturita dal periodo di crisi passato durante e dopo la pandemia.

Lo stesso motivo che, secondo alcuni testimoni, avrebbe portato Alessandro ad avere continue liti con la moglie e i figli in casa, prima del delitto. Nonostante ciò, l’uomo aveva confessato ai suoi difensori: “Non mi capacito di come sia potuta accadere una cosa del genere, non doveva succedere. Mi sentivo un fallito, responsabile di non poter garantire lo stesso tenore di vita alla famiglia in futuro, non so perché ho agito così”. Non è dello stesso avviso la mamma e nonna delle vittime che, intervistata nel corso di una puntata de La Vita in Diretta aveva dichiarato: “Maja non è pazzo e aveva preparato tutto. Lui sapeva perfettamente cosa stava facendo […]. È una cosa che sento: c’è un disegno. Aveva preparato tutto. Aveva scelto tutto e sapeva quando colpire. Non si colpisce poi una persona quando sta dormendo. Lui ne ha colpite tre”.

Intanto, dal carcere, avrebbe scritto delle lettere alla sua famiglia, chiedendo informazioni sulle condizioni del figlio: svegliatosi dopo quasi un mese di coma farmacologico trascorso nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Varese, il 24enne è già stato operato diverse volte e, pur sapendo che il percorso riabilitativo è ancora lungo, ha dimostrato di essere pronto a guardare al futuro. Nel 2021 aveva ottenuto il brevetto da pilota e il suo sogno resta quello di lavorare in campo areonautico.