Sarebbe tempo di assunzioni a tempo indeterminato, in Italia. A metterlo in luce sono i dati diffusi dall’Osservatorio sul precariato dell’Inps relativi allo scorso anno, da gennaio a novembre, che mostrerebbero un aumento del 13% delle nuove assunzioni rispetto allo stesso periodo del 2021, con un +21% sui contratti a tempo indeterminato. Prosegue però, nel frattempo, anche il fenonemo delle “grandi dimissioni” e sempre più persone cambiano lavoro, spesso lasciando proprio il posto fisso.

Assunzioni a tempo indeterminato in aumento: i dati Inps

Secondo i dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps, riferiti allo scorso anno, fino al mese di novembre, si sarebbero registrate, in Italia, 7.562.000 nuove assunzioni, con una crescita del 13% rispetto allo stesso periodo del 2021. In particolare, sarebbero aumentati i nuovi contratti a tempo indeterminato (1.302.076), con un +21% rispetto al 2021, ma anche le varie tipologie di contratti a termine: per gli intermittenti la crescita sarebbe stata del 18%, per l’apprendistato del 13%, per il tempo determinato del 12%, per gli stagionali dell’11% e per i sommistrati del 6%. Si conterebbero, inoltre, oltre mezzo milione di trasformazioni di contratti da tempo determinato a indeterminato: 686.542 per la precisione, “in fortissimo incremento rispetto allo stesso periodo del 2021” (+52%), come si legge nel report dell’Osservatorio, che spiega: “Il campo di osservazione è riferito ai lavoratori dipendenti del settore privato, esclusi i lavoratori domestici e gli operai agricoli. Per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione sono presi in considerazione esclusivamente i lavoratori degli Enti pubblici economici. Sono considerati come collettivi separati sia i lavoratori somministrati sia i lavoratori a chiamata (c.d intermittenti), non distinguendo però rispetto alla tipologia contrattuale (determinato, indeterminato)”. I contratti di prestazione occasionale sarebbero stati, a novembre, 13.380, in diminuzione del 6% rispetto al 2021 e con un importo mensile lordo di 239 euro.

In aumento anche le cessazioni dei rapporti di lavoro

Ad aumentare non sarebbero state solo le nuove assunzioni, ma anche le cessazioni dei rapporti di lavoro, 6.824.000 nel 2022 (+19% rispetto al 2021). Un dato che sorprende solo in minima parte visto che, già da un po’, si sta assistendo in Italia al fenomeno delle “grandi dimissioni”, in inglese great resignation: secondo l’Anpal, nei soli primi sei mesi del 2022 si sarebbero registrate oltre 1 milione di dimissioni, spesso proprio dai tempi indeterminati. Considerando lo stesso periodo nel 2018, a lasciare il proprio lavoro erano state 750mila persone, quasi il 30% in meno. La vera impennata sarebbe avvenuta nei primi mesi del 2021, con il passaggio da 350mila a 490mila: oltre 100mila dimissionari in più nel giro di pochi mesi, probabilmente per effetto della pandemia.

Da allora il fenomeno ha continuato ad espandersi: c’è chi segue il trend del “job hopping”, la pratica di “saltare da un lavoro a un altro” per assicurarsi stipendi più alti o chi, semplicemente, cambia lavoro per cercare un miglior life-work-balance, un miglior equilibrio tra lavoro e progetto di vita, senza subordinare il secondo al primo e nel contempo migliorare la propria situazione. Starebbe crollando, quindi, il mito del “posto fisso”. “Il primo punto è la ricerca di flessibilità dettata dalla crescente intensità del lavoro. Un secondo punto credo possa essere rintracciato nel fatto che nel mercato italiano, composto di piccole e medie imprese, le aziende abbiano avuto spesso carattere familiare, e altrettanto spesso le persone hanno passato la loro vita in una singola azienda o poco più: questo sta cambiando”, ha spiegato Pietro Novelli, general manager di Oliver James Italia e consigliere di ANPAL Servizi, all’Agi. Sulla scelta di molte persone peserebbe, in particolar modo, lo smart working: un’opportunità resa evidente dal Covid-19 e a cui molti, soprattutto i più giovani, non sarebbero disposti a rinunciare.