L’hanno già ribattezzata la “holding” delle rapine in banca. Come quartier generale una sorta di roccaforte a Brancaccio, dalla quale si organizzavano tutte le rapine per cercare di prendere il più possibile da tutta la Penisola. Proprio da quel punto nevralgico, con precisione meticolosa, si organizzavano le trasferte nel resto d’Italia. Tra le tappe che erano cerchiate in rosso c’erano Capaci, Favara, Milano, Bologna e Pistoia, mentre le indagini hanno fatto luce su rapine commesse in passato e sull’entità di queste rapine effettuate, con cifre che spesso superavano quanto precedentemente ipotizzato.
La polizia di Palermo, attraverso la delega della Procura della Repubblica del capoluogo siciliano, ha effettuato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere verso sei persone. Si tratta di un punto d’arrivo di un percorso avviato circa un anno fa, esattamente il 4 aprile del 2022. La rapina alla filiale Credem di Terrasini fece accendere un interruttore sulla vicenda, anche a seguito del sequestro di persona all’interno di questa dinamica. Il via alle indagini che, ventitré giorni dopo, portarono al fermo di cinque persone, tutti pluripregiudicati e indagati per aver partecipato ognuno per la propria parte alla rapina. Non solo Roma, dunque.
Da lì, a seguito degli interrogatori e dei colloqui in carcere, è stata svelata l’esistenza di una gang ramificata e organizzata in modo tale da non lasciar scontento nessuno dei banditi, neanche chi veniva temporaneamente escluso dalle rapine perché nel mirino di altre indagini di polizia. In un modo o nell’altro, anche a chi non aveva partecipato attivamente alle rapine, veniva comunque liquidato un compenso per rassicurarlo e al tempo stesso tenerlo agganciato alla banda.
Rapine in banca: un meccanismo svelato dopo tempo
Alla base della gestione dei rapinatori c’era una sorta di “cassa comune”, un meccanismo economico che permetteva ai componenti della banda una costante rigenerazione monetaria e, dunque, un aumento di organico. Con il meccanismo della “cassaforte” la banda accoglieva altri elementi per rimpiazzare quelli eventualmente arrestati e provvedeva al mantenimento delle famiglie di coloro che erano in carcere. La banda, spiegano gli inquirenti, funzionava da ‘agenzia di collocamento’, avvalendosi di alcuni specifici soggetti che offrivano ‘lavoro’ e diventando così punto di riferimento per il quartiere, con una credibilità conquistata colpo su colpo.
Tutto si definiva attraverso delle vere e proprie riunioni, una sorte di “summit” collettivo. In ogni appuntamento della banda si discuteva del reperimento di armi e si pianificavano i settori in cui investire il bottino. Tra questi ultimi non poteva non esservi il traffico di droga, con l’acquisto di partite da poter reimmettere sul mercato ad un prezzo maggiorato, nonché l’acquisto di beni immobili: progetti per il futuro, per diventare boss e per scalare le gerarchie del potere.