SALVATAGGIO MANCATO A KAHRAMANMARAS – Domenica scorsa, nella regione devastata dal sisma, si è consumato il dramma della famiglia Aydin. Tra fuochi accesi e polvere di macerie, la Turchia continua a vivere giorni di dolore intenso, spezzato solamente dalla notizia di salvataggi, che, con le ore che passano, assumono sempre più contorni miracolosi. Nella giornata di oggi mercoledì 15 febbraio 2023, una donna è stata estratta viva dalle rovine di Antakya insieme ai suoi figli, a 228 ore dal sisma. Appena un’ora prima, una donna di 74 anni, di nome Cemile, era stata salvata a Kahramanmaras.
Purtroppo però, non tutti i tentativi di salvataggio vanno a buon fine. Nella devastazione di Kahramanmaras, domenica scorsa si è consumato il dramma della famiglia Aydin, mentre le narici bruciavano per i fuochi accesi alimentati dalla polvere dei resti.
Terremoto Turchia, mancato salvataggio per la famiglia Aydin a Kahramanmaras
A quasi una settimana dal sisma, proseguono le ricerche dei pompieri giunti dalla Spagna, con il proprio cane da investigazione. Uno di questi, aveva individuato tracce di vita sotto un palazzo rimasto in piedi, ma caduto giù per diversi metri. Hipolito Lucena, uno dei sanitari di tale squadra, ha raccontato l’episodio all’AGI: “Il cane ha iniziato a scodinzolare e abbaiare, era il segnale che aspettavamo. È arrivato l’esercito che con i radar termici ha confermato tracce di vita di tre persone. La situazione è difficilissima, stanno lavorando da 12 ore per raggiungere i sopravvissuti. Sono arrivati i minatori e stanno creando un sistema di tunnel perché c’è il rischio che venga giù tutto“. “Impossibile dirlo“, risponde Hipolito scuotendo la testa, alla domanda su quanto possa durare un’operazione del genere. La notizia ha subito acceso l’attenzione della stampa, e riacceso le speranze della famiglia Aydin, che per una settimana ha atteso sulle macerie, dormendo con addosso le sole coperte, riscaldata dal fuoco e dal tè portato dai volontari alle squadre di soccorso.
Umit, cugino dei tre intrappolati dichiara all’AGI, chiedendo di pubblicare i nomi dei tre parenti: “Là sotto ci sono donna, figlia e nipote di due mesi. Per una settimana siamo stati qui e non ci muoveremo. Abbiamo speranza ma non ci facciamo illusioni. La città è morta, guardati intorno, ma là sotto c’è un bambino di due mesi e noi non abbiamo nessun altro posto dove andare se non questo. Nessun posto ha più senso di questo“.
La giornalista ha descritto lo sguardo straziante di Umit, verso il resto della famiglia, che riposa su sedie estratte dalle macerie o per terra. Montagne e montagne di resti, vengono scavate ogni giorni dai lavoratori, occupati anche la notte. I minatori fanno avanti e indietro senza sosta. Aiutano anche le persone sopravvissute, passandosi pezzi di intonaco e muro di mano in mano.
Chi ha lavorato tutto il giorno giace esausto, dorme seduto o cerca di scaldarsi le mani ferite e nere di sangue secco. Una volta scattata l’alba, con le prime luci, e dopo 30 ore di operazioni, la triste scoperta. I tre, nonna, figlia e nipote, non ce l’hanno fatta. I parenti si stringono in un abbraccio, tra urla e lacrime, e imprecano contro le telecamere. Una donna sviene e viene portata via dai sanitari. Ognuno di loro avrebbe voluto raccontare un altro tipo di storia. Tutti cercavano un momento di gioia tra la polvere, le macerie, il fumo e le lacrime di una città che non esiste più, e che non sarà mai più la stessa.