Dalla Florida, dove si trova dal giorno prima del giuramento di Lula Da Silva, l’ex presidente brasiliano Bolsonaro ha rotto il silenzio, annunciando, nel corso di un’intervista, la prima rilasciata negli Usa, che rientrerà in Brasile a marzo per guidare l’opposizione politica al successore socialista e difendersi dalle accuse di aver incitato gli attacchi dei manifestanti contro gli edifici governativi dello scorso 8 gennaio.
Bolsonaro in Brasile da marzo: annunciato il suo rientro
Bolsonaro si trova negli Stati Uniti dallo scorso 31 dicembre, giorno precedente all’insediamento del suo successore: entrato negli Usa con un visto di tipo A1 – quello riservato ai capi di Stato e ai diplomatici, della durata di 30 giorni -, aveva poi richiesto e ottenuto di poter prolungare il suo soggiorno, nel corso del quale ha dovuto anche sottoporsi ad un’operazione per risolvere un’occlusione intestinale provocatagli dalla coltellata allo stomaco ricevuta in campagna elettorale. Ora, dopo settimane di ritiro, ha deciso di rompere il silenzio nella prima intervista rilasciata negli Stati Uniti, nel corso della quale ha annunciato il suo rientro in Brasile, previsto per marzo.
“Il movimento di destra non è morto e vivrà”, ha detto Bolsonaro al Wall Street Journal, assicurando che tornerà nel suo Paese natale per guidare l’opposizione politica a Lula, lavorando con i suoi sostenitori del Congresso e nei governi statali per promuovere “misure a favore delle imprese” e per combattere l’aborto, il controllo delle armi e altre politiche che ritiene contrarie ai valori della famiglia. Il leader conservatore ha inoltre espresso la sua contrarietà per le pratiche economiche avviate dall’attuale Governo, che intende espandere in modo significativo il welfare e il ruolo dello Stato nell’economia: una scelta sbagliata, per Bolsonaro, secondo cui il debito pubblico, in questo modo, salirà a un livello tale da far fuggire gli investitori.
Per quanto riguarda le elezioni che hanno decretato la sua sconfitta, invece, ha parlato di un “voto parziale”. “Perdere fa parte del processo elettorale”, ha sottolineato, dichiarando di essere rimasto sorpreso del risultato (49,1% di consensi contro il 50,90% di Lula): “La gente era con me, l’industria agricola era con me, la maggior parte degli evangelici era con me, l’industria era con me, i proprietari di armi erano con me”, ha detto, anche se, a differenza del suo amico Donald Trump – che dopo la vittoria di Biden aveva denunciato delle frodi nello svolgimento del voto -, non si è spinto oltre.
I fatti dell’8 gennaio
Sempre nel corso dell’intervista, l’ex presidente ha poi negato di aver fomentato – come sostengono i pubblici ministeri brasiliani sulla base di alcuni post pubblicati dal politico sui social – i disordini sfociati in una sorta di colpo di Stato, lo scorso 8 gennaio, quando i suoi sostenitori avevano assaltato e vandalizzato gli edifici governativi, replicando i fatti di Capitol Hill. “Non ero nemmeno lì, e vogliono addossarmelo”, ha dichiarato, aggiungendo: “Colpo di Stato? Quale colpo di Stato? Dov’era il comandante? Dov’erano le truppe? Dov’erano le bombe?”.
Tornando in Brasile, si espone, comunque, a dei rischi. “Un ordine di carcerazione può arrivare dal nulla”, ha detto, ricordando il caso del predecessore Michel Temer, indagato per corruzione e imprigionato con arresto preventivo dopo aver lasciato il suo incarico, alla fine del 2018. “Non c’è nessun altro al momento”, ha però spiegato, che può ricoprire il ruolo di “leader nazionale della destra”. E poi, come aveva già dichiarato durante una manifestazione del movimento YES Brazil USA, in Florida, “non importa quanto sia bello il luogo in cui uno si trova in viaggio in qualsiasi parte del mondo, ma non c’è niente di meglio della terra in cui uno è nato”. Il prossimo appuntamento politico sarà, per lui, quello delle elezioni municipali del prossimo anno, che riguarderanno ben 5mila comuni.