ALESSANDRA CAMPEDELLI IRAN – Alessandra Campedelli ha rilasciato una lunga intervista all’AGI, spiegando i motivi del suo allontanamento da Teheran. L’allenatrice originaria di Mori in Trentino, è stata infatti a capo della Nazionale femminile iraniana di pallavolo.

La Campedelli è in qualche modo fuggita da delle situazioni che gli stavano troppo strette. Tante le problematiche vissute e altrettante promesse disattese da parte della Federazione di Teheran: “Per me era diventato inaccettabile collaborare con una Federazione che fa capo a un governo che non rispetta la vita, le elementari libertà della persona e che non rispetta le donne. Non era possibile lavorare per una Federazione che negava anche ciò che stava succedendo dicendomi: ‘Le proteste sono normali, in ogni Paese ci sono proteste e malcontento, anche in Italia’. È un’esperienza che ho fortemente voluto, ero entusiasta, mi ero messa in gioco consapevole che avrei incontrato delle difficoltà, ma non immaginavo i tanti ostacoli per arrivare allo sviluppo della pallavolo femminile in Iran con l’obiettivo di portare negli anni la Nazionale tra le prime quattro in Asia. Ben presto ho capito che la Federazione non era realmente pronta a dare tanto spazio alle donne. Per la maggior parte dei componenti erano solo parole, solo un modo per attirare le attenzioni e i favori del popolo pallavolisti e non“.

L’allenatrice italiana 48enne, già allenatrice della Nazionale sorde d’Italia di Volley ha commentato il post morte di Mahsa Amini, la curda iraniana di soli 22 anni arrestata perché accusata di aver indossato in modo errato l’hijan, e in seguito morta in circostante poco chiare: “Non ero preparata alla situazione che si è venuta a creare dopo la morte di Mahsa, un fatto che ha condizionato molto la mia tranquillità nel lavorare e nel mettermi a disposizione di una Federazione che negava tutto“.

Alessandra Campedelli Iran: “Ho fatto di tutto per adattarmi alla loro cultura, ma…”

Alessandra Campedelli ha detto di aver fatto qualsiasi cosa per avvicinarsi alla cultura iraniana, ma che non ha trovato nessun riconoscimento e nessuna comprensione sotto questo aspetto: “Credo di aver fatto davvero tanto per andare incontro alla loro cultura, per conoscerla, per trovare un punto di incontro ma penso che la Federazione, forse, non abbia nemmeno provato a capire quanto per una donna occidentale come me, fosse difficile dover stare alle loro regole e abitudini, e che non abbia fatto nulla per venirmi incontro. Ogni volta che uscivo era mio dovere indossare l’hijab e uscire con braccia e gambe sempre coperte anche con le elevate temperature estive. Non è stato facile abituarmici ma erano questi gli accordi presi con la Federazione. La cosa più difficile da comprendere e accettare è stata il perché io dovessi indossarlo anche al di fuori dell’Iran quando partecipavano ai vari tornei. All’inizio solo tante parole e promesse che poi sono state perennemente disattese“.

Sull’attuale situazione sociale-politica in Iran, Campedelli non si è espressa, ma sul suo trascorso all’interno del Centro Olimpico Azadi ha rivelato: “Preferisco non entrare nel merito, posso solo dire che la situazione dallo scorso settembre è molto cambiata. Non ero più libera di comunicare con il mondo esterno e con la mia famiglia visto che il governo limitava addirittura l’uso di Internet. Dove vivevo non arrivava nemmeno l’eco di ciò che avveniva a poca distanza di lì. Ho vissuto in una camerata di nove metri quadrati, con un televisore ma senza satellite, quindi per me impossibile da guardare. C’erano delle grandi finestre senza tapparelle e con le sbarre, il wi-fi non funzionava. Il campus femminile era un luogo molto frequentato, dalle 7 del mattino non c’erano momenti di reale tranquillità. La situazione era dignitosa per chi ci si deve fermare per brevi periodi, ma per un anno interno è stata davvero dura. La cosa frustrante è stata vedere gli allenatori uomini trattati in modo molto diverso, gli allenatori della Nazionale maschile vivevano a pochi metri di distanza in una struttura a 5 stelle“.

Campedelli: “Preoccupata per la crescita della pallavolo in Iran”

Dal punto di vista professionale, l’allenatrice di Rovereto si è detta dispiaciuta di aver dovuto lasciare la causa sportiva e ha fatto presenti i problemi legati alla crescita della pallavolo femminile: “Sono preoccupata per aver abbandonato le mie ragazze e le allenatrici che avevano creduto in me. Non ci sono i presupposti per far realmente crescere la pallavolo femminile, la Federazione cerca risultati immediati, ridicolo pensare a questo perché per provare a raggiungere i livelli delle prime dell’Asia servono anni e anni di lavoro a partire dalle giovani”. Il successo della trentina è stata la medaglia d’argento ai Giochi Islamici dello scorso anno a Konya in Turchia: Le donne iraniane (74esime nel ranking mondiale, ndr) che non salivano su un podio dal 1966, battendo 3 a 1 in semifinale l’Azerbaijan (32/o del ranking) hanno dimostrato che lavorando bene piano piano ci si può avvicinare. Se la Federazione pensava davvero che con la mia sola presenza e con solo pochi mesi di lavoro si sarebbe potuto raggiungere un risultato simile, non fanno che dimostrare la loro poca competenza in materia e il loro tipico atteggiamento di pensatori onnipotenti“.

Alessandra Campetelli ha poi descritto la nostra realtà, a dispetto di quella iraniana. “L’esperienza comunque è stata positiva, professionalmente ho imparato molto. Vorrei lasciare come testimonianza ai nostri giovani pallavolisti e ai nostri studenti nel dire che qui, in Italia, tra mille indubbi problemi, siamo fortunati. Noi siamo liberi di parlare, certo, lo dobbiamo fare con educazione, siamo liberi di scrivere, siamo liberi di scegliere cosa leggere, cosa ascoltare, siamo liberi di cantare per strada, di andare in palestra uomini e donne insieme, di vestirci come riteniamo consono alla situazione, di dire la nostra, di protestare pacificamente, di avere e manifestare le nostre idee, di professare la religione che scegliamo, di manifestare il nostro affetto e le nostre emozioni anche in pubblico, di stringere la mano e un uomo per ringraziare o per salutare: i nostri ragazzi hanno la possibilità di avere un’istruzione che li renda cittadini liberi“.