L’Australia è il primo Stato al mondo ad autorizzare l’utilizzo a scopo terapeutico di sostanze psicoattive come l’Mdma e la psilocibina nei trattamenti di disturbi psichiatri.

La decisione è stata ufficializzata lo scorso 3 Febbraio dalla Therapeutic Goods Administration (TGA), l’autorità governativa australiana responsabile della regolamentazione dei farmaci e sarà reso operativo dal primo Luglio 2023.

Nello specifico sarà possibile per gli psichiatri autorizzati prescrivere l’Mdma e la psilocibina per arginare gli effetti di patologie mentali come la depressione e il disturbo da stress post-traumatico qualora queste siano resistenti ad altre terapie.

La prima sostanza psicoattiva è più nota come Ecstasy che come ben noto produce spiccati effetti stimolanti e talvolta psichedelici. La psilocibina invece è il principio attivo contenuto nei funghi allucinogeni.

Il provvedimento è stato accolto con grande stupore: nel Dicembre del 2021 lo stesso ente australiano aveva infatti deciso di non riclassificare le sostanze per l’uso in ambito medico e il cambio di rotta sulla questione ha spiazzato anche i medici psichiatri che non si aspettavano tale via libera.

Si riteneva inoltre che i primi a legalizzare l’uso di sostanze psicoattive sarebbero stati gli Stati Uniti. Infatti già ad inizio del 2023 l’Oregon ha consentito l’uso della psilocibina per gli adulti “sotto la supervisione di un mediatore certificato dallo stato”, ma al momento negli USA la sostanza rimane un farmaco sperimentale non approvato. Anche la Svizzera appariva più avanti dell’Australia perché consente già a un numero limitato di psichiatri di utilizzare Lsd e Mdma come supporto alla psicoterapia.

È facile ora pensare che lo sviluppo del programma australiano acceleri l’adozione anche in altri paesi nel prossimo futuro.

Australia sostanze psicoattive a scopo terapeutico: una scelta affrettata?

Gli esperti però ammoniscono che ci sono ancora molte domande irrisolte sull’attuazione della somministrazione. I principali dubbi riguardano il reale numero di pazienti che potrà ricevere queste cure e la possibilità che tale decisione sia stata presa in maniera troppo affrettata senza effettivamente capire come introdurre questi trattamenti in modo efficace e sicuro.

Simon Ruffell, psichiatra e ricercatore presso lo Psychae Institute dell’Università di Melbourne, ritiene che non siano stati valutati a sufficienza gli effetti a lungo termine poiché i dati a disposizione si limitano al massimo ad un arco di dodici mesi.

Secondo Daniel Perkins, professore associato presso il Centro per la salute mentale dell’Università di Swinburne e ricercatore dell’Università di Melbourne, ci vorrà un po’ di tempo prima che l’utilizzo si diffonda ed optare per un’apertura graduale sarebbe una scelta saggia che permetterà di capire cosa funziona e cosa no.

Al momento infatti agli specialisti del settore non sono state fornite linee guida circa il percorso per ottenere l’autorizzazione per somministrare i farmaci a base di Mdma e psilocibina e si teme che tale procedura possa divenire piuttosto difficoltosa.

Per prima cosa ogni medico dovrà essere approvato da un comitato etico per la ricerca umana e poi dal TGA, dimostrando di saper giustificare clinicamente l’utilizzo farmacologico, di comprendere la totalità del processo terapeutico e di conoscere tutte le misure per proteggere i pazienti.  

Il TGA inoltre non ha ancora fornito informazioni dettagliate sugli standard minimi di formazione per gli psichiatri che vogliono dispensare farmaci contenenti Mdma e psilocibina. Ciò genererà inevitabilmente ambiguità sulle modalità di prescrizione delle terapie e sull’area di competenza e responsabilità dello psichiatra.

Sarebbe un errore poi consentire a tutti gli psichiatri di prescrivere tali sostanze senza una formazione aggiuntiva poiché attualmente i professionisti del settore devono impiegare dai cinque ai dieci anni di preparazione per trattare con sicurezza tali farmaci.

Un ulteriore ostacolo sarà rappresentato dal costo elevato del medicinale, non coperto da assicurazione sanitaria e che, almeno in prima battuta, destinerà i trattamenti al solo ceto benestante.