Si è tenuta ieri, presso la Corte d’Assise di Reggio Emilia, la prima udienza del processo che vede seduti al banco degli imputati cinque familiari di Saman Abbas, la ragazza di origini pachistane uccisa per aver rifiutato un matrimonio combinato con suo cugino e il cui corpo è stato rinvenuto a Novellara. Dell’omicidio sono accusati lo zio Danish Hasnain, i cugini Ikram Ijaz e Numanhulaq Numanhulaq, mentre la madre e il padre della 18enne, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, dovranno rispondere di concorso in omicidio. Le ultime notizie sul caso.

Saman Abbas processo: cosa è successo nel corso della prima udienza

“Saman nel cuore e nelle lotte” recitava uno degli striscioni apparsi ieri davanti alla Corte d’Assise di Reggio Emilia, dove ha preso il via, dopo mesi di indagini, il processo contro i cinque imputati accusati della morte di Saman Abbas, la 18enne di origini pachistane uccisa nella notte tra il 30 aprile e il 1 maggio 2021 per essersi rifiutata di sposare suo cugino. Presenti in aula tre dei cinque imputati, cioè lo zio e i cugini della vittima, Danish Hasnain, Ikram Ijaz e Numanhulaq Numanhulaq, che devono rispondere dell’accusa di omicidio; mentre i genitori di Saman, accusati di concorso in omicidio, si trovano attualmente in Pakistan, il padre agli arresti e la madre in latitanza.

La ragazza era scomparsa improvvisamente dalla sua abitazione e, dopo mesi di ricerche, il suo corpo era stato ritrovato a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, all’interno di un capannone abbandonato. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, grazie anche alla testimonianza del fratellino della ragazza, ad eseguire materialmente il delitto sarebbe stato suo zio; ma Danish continua a dichiararsi innocente, affibiando la colpa ai cugini di Saman. Secondo il legale dell’uomo, a dimostrare la sua innocenza sarebbero anche le “telecamere di sicurezza”. “Danish non è entrato nell’abitazione di Abbas Shabbar quella notte”, ha dichiarato l’avvocato, Liborio Cataliotti, che ha definito “zoppa” la versione accusatoria.

Si è deciso invece di tenere separata, almeno per il momento, la posizione di Shabbar Abbas, il padre della vittima: nei suoi confronti il presidente della Corte, Cristina Beretti, ha disposto un rinvio al 17 febbraio, ipotizzando la possibilità che l’uomo possa partecipare all’udienza in videoconferenza dal carcere del Pakistan dove è attualmente detenuto in attesa di estradizione. La stessa giornata è stata scelta, alla fine, anche per il rinvio a una nuova udienza del processo agli altri imputati. Con tutta probabilità, i due procedimenti saranno poi riuniti in uno e i familiari della vittima imputati verranno giudicati insieme.

Numerosi gli enti e le associazioni che reclamano giustizia

Non si è detta positiva Barbara Iannuccelli, legale dell’Associazione Penelope, da anni impegnata in prima linea per le persone scomparse e i loro familiari e costituitasi parte civile al processo. “Io non credo che vedrò mai Shabbar in Italia, né tantomeno la mamma (di Saman, ndr)”, ha dichiarato. “È una convinzione che ho fin dall’inizio, ma spero vivamente di essere smentita”. Sono in tanti, tra enti, associazioni e comunità, a chiedere giustizia per la 18enne e per le donne obbligate a vivere gli stessi drammi. “Il fidanzato (Sabiq Ayub, ndr) vuole giustizia per tutte le Saman”, ha fatto sapere il suo avvocato, Claudio Falleti. “Se fosse qui oggi Saqib direbbe: dei soldi non mi interessa niente, voglio giustizia – ha dichiarato il suo legale -. Costituirsi non è solo il risarcimento del danno, ma affiancare la Procura e le altri parti civili. Dobbiamo tutti insieme rivendicare giustizia non solo per Saman, ma per tutte le altre ragazze vittime di questi crimini. Se dovessimo ottenere un risarcimento, Saqib farà una fondazione a nome di Saman che aiuti tutte le altre ragazze”.