È stata rilasciata, in Iran, la ricercatrice e antropologa di origini franco-iraniane Fariba Adelkhah, arrestata nel giugno 2019 e condannata a cinque anni di carcere per aver minato la sicurezza nazionale. “È libera, ma non sappiamo nulla del suo stato”, ha fatto sapere uno dei parenti della donna in anonimato, sottolineando che non è ancora chiaro se sarà libera di tornare in Francia. Poche ore prima era stata la volta dell’attivista Farhad Maithami, detenuto dal 2017 e in sciopero della fame da quattro mesi. Si tratta di alcuni dei rilasci voluti da Khamenei all’indomani dell’anniversario della rivoluzione antimonarchica, festa molto importante per il regime.

Ricercatrice rilasciata in Iran: si tratta di Fariba Adelkhah

Fariba Adelkhah: è questo il nome della ricercatrice di origini franco-iraniane liberata in Iran dopo anni di reclusione. La donna, 63 anni, era stata arrestata nel 2019 e condannata a cinque anni di carcere per aver minato la sicurezza nazionale; ora, secondo quanto appreso dall’AFP dal suo entourage, sarebbe tornata in libertà, anche se non è ancora chiaro se potrà tornare in Francia, da dove il suo rilascio è stato accolto con favore. “È essenziale che la signora Fariba Adelkhah possa riacquistare tutte le sue libertà, compreso il diritto di tornare in Francia se lo desidera. La Francia ribadisce inoltre la sua richiesta di rilascio immediato e incondizionato di tutti i cittadini francesi detenuti arbitrariamente in Iran”, ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri in un comunicato.

“È con gioia e sollievo che annunciamo il rilascio della nostra cara collega Fariba Adelkhah, detenuta arbitrariamente in Iran da più di 3 anni. Ostaggio delle autorità locali, era una prigioniera scientifica. Grazie a tutti coloro che hanno permesso il suo rilascio”, ha reagito su Twitter l’Istituto di istruzione superiore parigino Sciences Po. Specialista in sciismo, una branca minoritaria dell’Islam, e in Iran post-rivoluzionario presso l’Istituto di studi politici (IEP) di Parigi, la donna ha ottenuto la grazia concessa da Khamenei ad un “significativo numero” di condannati – tra cui molti arrestati nel corso delle recenti proteste scoppiate nel Paese dopo la morte di Masha Amini, la giovane uccisa dalla polizia morale per non aver indossato correttamente il velo, lasciando intravedere una ciocca di capelli -, una sorta di amnistia proclamata dall’ayatollah all’indomani dell’anniversario della rivoluzione antimonarchica del 1979, festa particolarmente sentita dal regime.

“I prigionieri che non sono accusati di spionaggio per conto di agenzie straniere, contatti diretti con agenti stranieri, omicidio, distruzione e incendio doloso di proprietà appartenenti allo Stato saranno graziati”, aveva dichiarato il leader iraniano. Una decisione che, negli scorsi giorni, ha portato alla liberazione di svariati detenuti, tra cui anche il regista Jafar Panhai e il medico e attivista per i diritti umani Farhad Maithami, in carcere dal 2017 per aver protestato contro l’hijab obbligatorio e in sciopero della fame da quattro mesi. Ormai pelle e ossa, Maithami è tornato libero, come ha confermato anche il suo avvocato, che ha raccontato alla stampa: “Era scarcerato, gli avevano chiesto di pagare una cauzione ma lui non ha accettato e alla fine è stato scarcerato lo stesso”.

Nonostante i rilasci, non si fermano, comunque, gli arresti, tanto che le Ong attive sul territorio parlano di una mera “mossa propagandistica”. All’interno delle strutture carcerarie proseguono le torture, gli abusi, le minacce e le confessioni forzate: violenze più volte denunciate, dall’inizio delle proteste, e a tratti ingestibili per i prigionieri. Solo pochi giorni fa, un 16enne incarcerato ad Evin aveva tentato il suicidio per sfuggire alle tragiche condizioni di detenzione. Al vaglio dell’Ue c’è un nuovo pacchetto di sanzioni contro il regime repressivo messo in atto dal Governo contro i manifestanti.