Il Festival di Sanremo va avanti con tutti i suoi cliché e le sue regole: la competizione musicale, le polemiche, i messaggi di sfondo sociale se non addirittura politica. Anche con qualche stravaganza, come l’episodio di Blanco. Ma va avanti anche con la sua capacità, peculiare, di saper invitare a riflettere su taluni temi. Ci è riuscito molto bene Francesca Fagnani, la co-conduttrice della seconda serata della 73esima edizione del Festival. Il volto di ‘Belve’ è riuscito, con la sua incredibile capacità comunicativa ed interpretativa, a portare sul palco dell’Ariston una bella riflessione sulla durezza del carcere. E, più nello specifico, del carcere minorile. Un luogo che non deve punire, ma riformare. Questo il messaggio di fondo del suo monologo che possiamo sintetizzare, ancora meglio, in questo modo: il carcere ti deve rendere pronto alla vita di dopo. Una volta uscito da quelle angoscianti mura.
“Non tutte le parole sono uguali. Ci sono parole che devono abbattere muri e cancelli chiusi a comando. Io mi sono rivolta ad alcuni ragazzi rinchiusi nel carcere di Nisida. Ho chiesto loro: “Cosa vorreste dire e cosa vorreste chiedere ad una platea così grande?”
Questo uno stralcio del discorso offerto da Francesca Tafagni. La sua riflessione parte da un luogo specifico: quel grosso scoglio di origine vulcanica a forma di mezza luna che galleggia nel mare di Pozzuoli. Sull’isolotto, collegato alla terra ferma da una sola stradina c’è il carcere per i minorenni di Nisida. I detenuti del carcere minorile hanno contribuito – ha rivelato la giornalista – alla scrittura del discorso. Un gesto di creatività che racchiude il senso della morale e l’ha addirittura anticipata: iniziare ad essere pronti per la vita fuori dal carcere. Con gesti veri, concreti, addirittura artistici.
Il plauso dell’associazione Antigone: “Bene Sanremo su carcere minorile”
A Sanremo per la prima volta è arrivata la voce di alcuni dei 50 detenuti nell’istituto di Nisidia. Un fatto che ha innescato il plauso dell’associazione Antigone che da anni si occupa di promuovere i diritti nel sistema penale. Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell’associazione, ha commentato:
Siamo contenti – dice all’AGI – perché di carcere si parla sempre poco e male. Siamo tutti chiamati a gettare lo sguardo dentro alle carceri e quando ce lo ricordano da un palco come quello del Festival è una cosa positiva. Il carcere è un pezzo della nostra società e deve rimanere trasparente oppure si corre il rischio che avvengano scandali come quello di Santa Maria Capua Vetere.
Nisidia è diventato, negli anni, una sorta di esempio positivo: da lazzaretto a casa di rieducazione (negli anni Trenta) fino all’attuale funzione. Il carcere minorile ha diversi edifici a picco sul mare. Susanna Marietti, in questo senso, fa presente dov’è che si deve migliorare:
È problematica la situazione dell’Ipm di Milano di cui abbiamo chiesto la chiusura perché l’edificio è un cantiere aperto da 16 anni. Per questo gli spazi sono limitati e manca un direttore dedicato da moltissimo tempo. Dopo le evasioni dello scorso dicembre ci sono state reazioni scomposte. Dobbiamo stare attenti a non cadere nella retorica che chiede lo stesso trattamento degli adulti rispetto ai minori. I ragazzi non vanno inchiodati giudicandoli solo per il reato commesso. Occorre un atteggiamento educativo e mai esclusivamente repressivo.
Una situazione complessa
In Italia, secondo quanto emerge dai dati del ministero della Giustizia aggiornati al 15 gennaio, sono 385 i minori detenuti nei 17 istituti sul territorio nazionale. Proprio Nisida conta il maggior numero di detenuti (50) seguita da Roma (43), Airola (35) e Torino (34).
Susanna Marietti invita ad una riflessione conclusiva:
La situazione è complessa. Il carcere minorile è solo un piccolo sottoinsieme della giustizia minorile. Oggi ci sono 14mila ragazzi che sono in carico ai servizi della giustizia minorile e di questi solamente 385 sono in carcere. Gli altri sono nelle tante comunità che ospitano i ragazzi in diversi regimi come i domiciliari o la messa alla prova ai servizi sociali. Il carcere è solo il tratto più ‘doloroso’. Spesso i minori vanno in carcere non perché il reato è particolarmente grave ma perché il sistema ha fatto più fatica a trovare una collocazione alternativa. Ad esempio, chi ha meno relazioni sociali esterne, per esempio, gli stranieri ha più difficoltà.