Di un nuovo referendum sulla Brexit se ne parla praticamente da quando c’è stato quello ufficiale, nel 2016, che ha sancito il definitivo divorzio del Regno Unito dall’Unione Europea. Sono trascorsi ormai sette anni e le trattative sulle regole su cui si basa la nuova relazione tra Londra e Bruxelles sono state lunghe, difficili ed estenuanti. Tuttavia la Brexit, almeno fino ad ora, non sembra essere esattamente come i suoi fautori l’avevano promessa, tanto che sono sempre di più i cittadini britannici che si ritengono convinti che sia stata un errore. Ci si chiede dunque se sia possibile un passo indietro e per il Financial Times l’ipotesi non si può scartare del tutto, anzi. Il celebre quotidiano finanziario ha pubblicato un’analisi di Gideon Rachman, il principale commentatore della testata sugli affari europei, il cui titolo è proprio: Brexit could be reversed — here’s how, La Brexit potrebbe essere invertita, ecco come.

Nuovo referendum sulla Brexit? L’ipotesi del Financial Time. Ecco cosa sta accadendo

Di sondaggi post voto se ne sono visti tanti, troppi. Uno degli ultimi, svolto dal quotidiano The Independent, sostiene che almeno il 65 per cento degli intervistati vorrebbe un nuovo referendum. Solo l’anno scorso erano il 55 per cento. Le previsioni ottimistiche di chi ha lavorato per l’abbandono dell’Unione non si sono avverate e, anzi, il Paese si ritrova più debole e isolato. Nonostante ciò, solo il 22 per cento dei britannici crede possibile un nuovo referendum entro cinque anni e, nel caso di un ritorno alle urne, i risultati sorprenderebbero (o forse no): il 54 per cento di chi ha risposto al sondaggio, infatti, dice che voterebbe per tornare nell’Unione. “È facile capire perché. La Brexit è stata venduta come un modo per controllare l’immigrazione e migliorare il servizio sanitario nazionale. Ma il servizio sanitario nazionale è ora in condizioni molto peggiori di quelle in cui si trovava nel 2016. L’immigrazione nel Regno Unito rimane molto alta, con gli immigrati dell’UE sostituiti in gran parte da persone provenienti dall’esterno del blocco”, scrive Rachman. A Bruxelles sarebbero tutti (o quasi) propensi a riaccogliere il Regno Unito nella casa comune anche se, è scontato, risulta difficile che a Londra possa essere offerto un accordo speciale come avveniva prima. Sarebbe un prendere o lasciare, il che significherebbe nessuno sconto sui fondi nazionali da destinare al bilancio comunitario e nessun ‘opt-out’, compresa la possibilità di tirarsi fuori dalle direttive che vengono ritenute più controverse. “La Gran Bretagna dovrebbe accettare la libera circolazione delle persone e, molto probabilmente, l’euro”, sottolinea il giornale. La diffidenza verso al moneta unica per l’opinionista del Financial Times, che racconta di essersi opposto a sua volta all’idea 20 anni fa, potrebbe essere superata. “L’euro è ormai una valuta internazionale consolidata, mentre la sterlina appare cronicamente debole”, dice. Inoltre anche altri temi potrebbero convincere i britannici al ripensamento. “I giovani elettori favorevoli al Rejoin si preoccupano più di questioni come l’ambiente che di nozioni astratte di sovranità“, aggiunge. Ma un nuovo referendum è davvero possibile? L’ipotesi, per Rachman, non sarebbe del tutto campata in aria. “Il primo voto potrebbe tenersi nel 2026, un decennio dopo il voto del 2016, e darebbe semplicemente al governo britannico il permesso di avviare i negoziati con l’Ue”. In quel caso “un forte voto di approvazione – ad esempio il 60% – potrebbe placare lo scetticismo dell’Ue sul fatto che la Gran Bretagna sia troppo divisa per essere trattata”. Un secondo referendum verrebbe poi indetto “sui termini dell’accordo di Rejoin”, in modo da certificare che siano accettabili per tutti. “La Gran Bretagna ha impiegato 11 anni per ripristinare la monarchia. Perché non provare a battere questo tempo di un anno e invertire la Brexit in un decennio?”, conclude il giornalista.