Dopo più di sei mesi passati al policlino Gemelli, di cui diversi in coma, è stato dimesso, alla fine, Hasib Omerovic, il 36enne sordomuto che lo scorso luglio, nel corso di una perquisizione senza mandato ad opera dei poliziotti del commissariato di Primavalle nella sua abitazione, è stato aggredito, precipitando dalla finestra e riportando ferite gravi. Lo scorso 2 febbraio è stato ricevuto in Procura e durante il colloquio, durato tre ore, ha confermato le accuse nei confronti degli agenti: a fine dicembre uno era stato arrestato per tortura e falso; altri quattro restano indagati, a vario titolo, per il caso.
Caso Omerovic Roma: la ricostruzione dei fatti
I fatti risalgono allo scorso 25 luglio, quando un gruppo di agenti si era presentato a casa del ragazzo con l’intento di perquisire la sua abitazione, nel quartiere Primavalle di Roma, dopo la segnalazione di alcuni residenti che lo avevano accusato di aver molestato una ragazza. Aproffittando dell’assenza del resto della famiglia, i poliziotti, senza mandato, erano entrati in casa e, secondo quanto emerso dalle indagini, anche grazie alla cruciale testimonianza di Sonita, la sorella di Hasib, affetta da una grave disabilità, lo avevano picchiato e spinto a buttarsi dalla finestra, provocandogli gravi ferite.
Ricoverato in condizioni critiche al policlino Gemelli, dove ha passato diversi mesi in coma, il 36enne alla fine è stato dimesso e, lo scorso 2 febbraio, nel corso di un colloquio durato più di tre ore in Procura, ha confermato al procuratore aggiunto di Roma, Michele Prestipino, e al sostituto procuratore, Stefano Luciani, le accuse rivolte agli agenti. “Sono stato colpito e picchiato da quei poliziotti – avrebbe detto loro Hasib -, poi sono stato scaraventato dalla finestra”. Dopo aver subìto diverse operazioni, Hasib ha ancora un braccio immobilizzato e un altro che richiederà una lunga riabilitazione. Ma è riuscito a ricostruire la sua versione dei fatti.
Lo scorso dicembre uno degli agenti imputati era finito agli arresti domiciliari con le accuse di tortura e falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici. Secondo le carte di Piazzale Clodio diffuse in seguito al fermo del poliziotto, nel corso della perquisizione Andrea Pellegrini – questo il suo nome -, avrebbe dato al giovane “due schiaffi nella zona compresa tra collo e viso”, sfondando la porta della sua camera, obbligandolo a sedersi su una sedia, legandogli i polsi con il filo del ventilatore e minacciandolo con un coltello da cucina, fino a provocargli un “trauma psichico”, in virtù del quale Hasib si sarebbe poi gettato dalla finestra, percependola come unica possibilità di salvezza “per sfuggire a quell’ambiente che per lui era diventato moralmente insostenibile”.
Poi, tornato in ufficio, riferendosi al ragazzo avrebbe detto a un collega: “Che te frega se mòre?”. Un racconto dei fatti smentito dall’imputato, che si dichiara innocente, ma la cui misura cautelare è stata confermata anche dal Tribunale del Riesame di Roma. Secondo il giudice per le indagini preleminari, Pellegrini “non ha avuto alcuna remora di fronte ad un ragazzo sordomuto e una ragazza con disabilità cognitiva compiendo ripetuti atti violenti, sia sulle persone che sulle cose e gravemente minatori, così da denotare pervicacia e incapacità di autocontrollo”, cercando anche di coprire il pestaggio, come è emerso dalle intercettazioni dei messaggi di alcune chat private.
Per il caso, oltre a lui, sono iscritti sul registro degli indagati altri quattro agenti: alcuni avrebbero partecipato all’aggressione, altri si sarebbero occupati di ripulire l’appartamento prima dell’arrivo della Scientifica, cercando di nascondere quanto accaduto. Resta fiduciosa la famiglia di Hasib, che spera di fare luce sulla vicenda: “Siamo convinti che la verità stia emergendo: concluse le indagini, potremo individuare le dovute responsabilità”, hanno fatto sapere.