La storia del poliziotto destituito perchè vestito da donna ha trovato un epilogo dopo quasi vent’anni. L’uomo, oggi sessantenne, indossava abiti femminili fuori dal lavoro e per questo fu prima sospeso e poi destituito. Ora, su decisione del Tar del Veneto, l’ex agente, che oggi ha 60 anni, ha ottenuto il diritto di ricevere gli arretrati non percepiti dopo il provvedimento disciplinare deciso dallo Stato. Una lunga storia umana e giudiziaria, culminata ieri con la sentenza depositata dal Tar del Veneto che ne ha decretato il finale, al netto ovviamente delle possibili impugnazioni in Consiglio di Stato. L’agente ha sempre sostenuto di non essere “né gay né transessuale”, ma solo di avere piacere nel vestire abiti femminili rivendicando “un modo di sentire estroso, anticonformista, non certo immorale”. La sospensione e la destituzione per “inabilità fisica” erano partite nel 2006 con la motivazione che il poliziotto sarebbe stato “affetto da un disturbo dell’identità di genere“. Successivamente era stato riammesso al lavoro ma collocato in aspettativa fino al trasferimento al personale civile. In un primo momento i suoi ricorsi erano stati respinti dal ministero dell’Interno fino alla decisione di ieri, arrivata dopo essersi rivolto al Tar di Venezia per il tramite dei suoi avvocati Alfredo Auciello e Giacomo Nordio.
La storia del poliziotto vestito da donna. Sospeso dal servizio, dopo quasi vent’anni il Tar si pronuncia a suo favore: deve ottenere gli arretrati
Minigonna celeste e orecchini pendenti fino alle spalle, un paio di sandali col tacco alto a due passi dal ponte di Rialto e la maglietta nera corta con l’ombelico visibile a piazzale Roma, a Venezia. Questi gli outfit dello scandalo per cui, nell’autunno del 2005, un poliziotto di Venezia era stato dapprima sospeso e quindi destituito a causa di una condotta ritenuta “riprovevole, che denota mancanza del senso dell’onore e della morale”, riportavano le cronache dell’epoca per giustificare le sanzioni. Dopo l’istruttoria condotta dalla Questura, nel 2006 erano però scattate la sospensione e la decadenza, successivamente annullate dai giudici. La vicenda era stata dimenticata dall’opinione pubblica, non certo dal diretto interessato che, dispensato dal servizio per inabilità fisica “veniva dichiarato affetto da un disturbo dell’identità di genere che, oltre a chiarire la condotta oggetto di censura, determinava la declaratoria di permanente non idoneità al servizio”, ricorda infatti il Tar, accogliendo il ricorso dell’ex agente sul piano del trattamento economico. Dopo che il Viminale ha accertato la disforia di genere, gli uffici hanno reputato l’ex poliziotto idoneo “al servizio nei ruoli civili del Ministero dell’Interno o nelle altre Amministrazioni dello Stato”, benché “in mansioni compatibili con la sua ridotta capacità lavorativa e la natura delle infermità sofferte”. Quindi ne è stata così disposta la riammissione al lavoro, ma con un temporaneo collocamento in aspettativa speciale fino alla conclusione della procedura di passaggio nei ruoli del personale civile. L’uomo ha perciò chiesto gli emolumenti non percepiti a partire dalla sua destituzione, ma la sua domanda è stata respinta. Da li l’ennesimo ricorso al Tar, sempre con l’assistenza degli avvocati Alfredo Auciello e Giacomo Nordio, i quali hanno sostenuto che al loro cliente dovessero essere corrisposti gli assegni non percepiti, escluse naturalmente le indennità per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di lavoro straordinario. Mentre l’Avvocatura dello Stato ha contestato la presunta tardività nell’impugnazione, per i giudici del Tar “il passaggio nei ruoli civili” non determina “una nuova assunzione”, in quanto i suoi effetti sotto i profili dell’inquadramento e della posizione economica decorrono “soltanto a partire dall’accoglimento della domanda di transito”. Al di la del carattere giuridico ed economico, che pure è importante, la vicenda assume una forte connotazione sul piano umano: quei comportamenti apparentemente esibizionistici erano il sintomo di un disturbo che, come tale, non andava punito.