Nei giorni scorsi ho letto, e riletto, un articolo che andrebbe affisso in tutte le redazioni di giornali, radio, televisioni e siti internet affinché i giornalisti riflettano sulle conseguenze che un loro scritto può provocare sulle persone, sulle famiglie e sulle associazioni. Talvolta, è successo anche a me in tanti anni di professione giornalistica, ci sentiamo giustizieri, artefici di una battaglia per un mondo migliore, ma i protagonisti dei nostri articoli qualche volta sono colpevoli, altre volte innocenti, ma sempre va rispettata la dignità della persona.
Gogna mediatica, il caso Carra e gli insegnamenti di Mattia Feltri e De Robertis
L’articolo da affiggere ovunque e da leggere negli innumerevoli corsi deontologici organizzati dall’Ordine dei giornalisti è quello firmato da Mattia Feltri sul quotidiano La Stampa in occasione della morte di Enzo Carra, il portavoce della Democrazia Cristiana che il 4 marzo del ’93 venne mostrato con grosse manette ai polsi tra due ali di telecamere, fotografi e giornalisti. Non è stato il solo nel corso della storia recente ad aver avuto questo “onore” e ancor più numerosi sono i casi di innocenti considerati colpevoli e fatti a pezzi dalla gogna mediatica prima di tardivi risarcimenti che non non ti fanno recuperare il tempo in cui sei stato sotto schiaffo, tu e i tuoi familiari. Ha scritto Pierfrancesco De Robertis che “gli altri dimenticano ma per chi le ha subite, le ferite restano. Il risarcimento della memoria è sempre una cambiale scaduta”. E allora occorre seguire il consiglio di Mattia Feltri che da ventenne cronista giudiziario a Bergamo pensava che “il mondo andasse sgominato” e oggi scrive che “la sacralità della giustizia risiede nel dovere di impedire che si faccia ingiusta”. Come è capitato ai tanti Carra.
Stefano Bisi