Perché gli allevamenti intensivi inquinano? Sono ormai numerosi gli studi pubblicati sul tema dagli esperti, che mettono in luce come gli allevamenti su larga scala siano nocivi non soltanto per gli animali e per la salute delle persone, ma abbiano anche un forte impatto negativo sull’ambiente. Vediamo come.

Che cosa si intende per allevamenti intensivi

Un allevamento intensivo è un modello industriale su grande scala nel quale diverse migliaia di animali – tra i quali polli, tacchini, mucche e maiali destinati al macello, ma anche pesci – vengono custoditi e allevati in ambienti confinati. Diffusosi con lo scopo di soddisfare la crescente richiesta di prodotti di origine animale, in particolare uova e latticini, abbattendone i costi, in modo da renderli adatti al consumo di massa, questa tipologia di allevamento ha sempre suscitato forti dubbi, perché, oltre a non garantire agli animali lo spazio necessario per vivere in condizioni dignitose, si tratta di un pericolo per l’igiene e per la salute delle persone, nonché di una fonte di un enorme impatto ambientale.

Perché gli allevamenti intensivi inquinano e come

Tra le critiche mosse nei confronti degli allevamenti intensivi ci sono quelle che riguardano il benessere animale – recenti reportage di associazioni animaliste hanno mostrato le pessime condizioni di vita degli animali, costretti a crescere in spazi ristretti, spesso al buio per tutta la vita -, ma anche quelle connesse ai rischi per la salute dell’uomo, legati soprattutto all’uso di antibiotici e altri farmaci volti a indurre agli animali lo sviluppo corporeo, come gli ormoni, e al loro impatto sull’ambiente: in questo caso, i fattori da tenere in considerazione sono molti e non includono soltanto le emissioni causate da ogni struttura adibita a tale scopo.

Tra gli ementi da valutare ci sono, infatti, anche le emissioni dovute alla produzione del mangime di cui gli animali si cibano, quelle che dipendono dalla deforestazione dei terreni per le coltivazioni e il pascolo, dal trasporto degli animali e dalla gestione delle loro deiezioni, che contengono ammoniaca e altri gas inquinanti: tutte le attività, insomma, che hanno a che fare con gli allevamenti. Nel 2006 l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) li ha definiti come “uno dei fattori che maggiormente contribuiscono ai più gravi problemi ambientali attuali”.

Basti pensare che, secondo uno studio presentato nel 2008 da Rajendra Pachauri, allora presidente dell’IPCC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico -, produrre 1 kg di carne provoca l’emissione di 36,4 kg di anidride carbonica, il rilascio nell’ambiente di sostanze fertilizzanti pari a 340 grammi di anidride solforosa e 59 grammi di fosfati: lo stesso impatto ambientale di un’auto che percorre 250 chilometri. Ma le conseguenze si sentono anche sul consumo idrico: sempre per ottenere 1 kg di carne di manzo sarebbero necessari 15.500 litri di acqua (per fare una comparazione, 1 kg di riso ne richiede 3.000).

Cifre altissime, se si pensa che il numero degli animali da allevamento è quasi 100 volte superiore all’attuale popolazione umana. Oltre a emettere ingenti quantità di gas serra, gli allevamenti intensivi sono una delle principali cause di distruzione delle foreste e della conseguente scomparsa di numerose specie selvatiche e tra i principali responsabili dell’inquinamento dei terreni, soprattutto a causa dello smaltimento illegale delle deiezioni animali e dei residui dei farmaci utilizzati per sviluppare la loro massa corporea e renderli pronti in minor tempo alla macellazione.

Cosa si può fare per combattere questa tipologia di allevamento

Schierarsi contro gli allevamenti intensivi significa non solo fare del bene a sé stessi e alla propria salute, ma anche all’ambiente. La chiave è essere consapevoli, informandosi sulla provenienza dei prodotti che si consumano e, quando si può, cercando di sostituire ai cibi di origine animale le alternative vegetali.