Alessio D’amato, assessore regionale alla sanità del PD e candidato presidente (dato già per sconfitto da tutti i sondaggi) della Regione Lazio, è stato condannato dalla Corte dei Conti a pagare 275.000 euro, per aver distratto soldi pubblici in una vicenda assolutamente nebulosa, prescritta però dal punto di vista penale. 

D’Amato condannato

Quindi, in attesa di eventuale sentenza di appello a lui favorevole, ad oggi è un soggetto che ha subito un processo e ne è uscito condannato.

Lo stesso Alessio D’amato condannato, che quindi avrebbe mille ragioni per tacere, attacca da giorni l’avversario Rocca per un contributo, peraltro restituito, da parte dell’Università Unicusano di Stefano Bandecchi, oggetto in questi giorni di un’indagine della Guardia di Finanza che contesta l’errata applicazione di una aliquota fiscale e la presunta conseguente evasione.

Quindi, la vicenda di Bandecchi è nella fase iniziale. E’ stata mossa una contestazione e Unicusano ha ora modo e tempo per proporre le proprie osservazioni, sull’interpretazione di una norma che peraltro appare abbastanza esplicita. Bandecchi quindi potrebbe vedere un’archiviazione del procedimento o un rinvio a giudizio. D’Amato ha già affrontato il processo davanti alla Magistratura contabile e ne è uscito condannato.

La domanda sorge spontanea: con quale faccia un soggetto, con condanna in primo grado pendente, può permettersi di attaccare una persona che ancora non ha nemmeno avuto possibilità di difendersi e non ha neanche un processo in corso? 

Quando Alessio D’Amato visitava l’Università Niccolò Cusano e la reputava un modello da seguire

L’ipocrisia di una certa sinistra

È la ipocrisia storica di una parte della sinistra che si anima di furore giustizialista contro l’avversario, sorvolando sui propri guai e sulle proprie condanne. 

Tutto di facciata il giustizialismo di sinistra, ovviamente. Perché se così non fosse, D’Amato non dovrebbe essere candidato alla presidenza della Regione, in attesa di (glielo auguriamo) ribaltare la sentenza di colpevolezza che ha sul collo. 

Se ricevere un contributo da una società sana, da un imprenditore incensurato come Bandecchi, è un problema serio tanto da utilizzare l’argomento ogni giorno per attaccare Rocca, l’essere un soggetto condannato per distrazione di soldi pubblici, come è D’Amato, dovrebbe precludere -per i giustizialisti de noantri – qualsiasi candidatura. E così non è.

Spiace dovere ricordare la condanna a D’Amato e ai cittadini spiace dover assistere a battaglie politiche che anziché svolgersi sul campo delle idee e delle sfide, precipitano nella cloaca delle accuse e del finto moralismo. 

Auguriamo al PD che col prossimo congresso possa realmente cambiare la classe dirigente, mettendo persone serie, capaci e in grado di mantenere la competizione e lo scontro politico sui binari della correttezza e del rispetto, al contrario di quanto sta facendo il condannato D’Amato: moralista sugli altri, iper garantista su se stesso.