Il regista Jafar Panahi è stato scarcerato 48 ore dopo aver annunciato lo sciopero della fame dal carcere di Evin, in Iran, dove era rinchiuso dal luglio scorso. Di conseguenza, non si può collegare direttamente la sua detenzione alla guerra civile nata dalla morte della giovane Mahsa Amini, avvenuta il 16 settembre.

Panahi era stato tenuto dietro le sbarre nonostante la Corte Suprema dell’Iran avesse dichiarato nulla la sua condanna. Il suo legale, pur sollevato dal lieto fine, accusa duramente il governo di aver ostacolato per oltre tre mesi il rilascio del regista. La notizia della scarcerazione è stata inoltre confermata dalla moglie di Panahi.

Iran, le ragioni della condanna del regista Jafar Panahi

Jafar Panahi, il più importante regista d’Iran, è ufficialmente libero dopo un periodo in carcere durato sette mesi. L’uomo si trovava detenuto nel carcere di Evin, tristemente noto per essere diventato nel tempo il luogo di segregazione dei dissidenti anti governativi, tuttavia la sua prigionia è antecedente alle proteste che hanno portato il Paese in copertina, suo malgrado.

Mi rifiuterò di mangiare e bere qualsiasi cibo e medicina fino al momento del mio rilascio. Rimarrò in questo stato finché forse il mio corpo senza vita non sarà liberato dalla prigione

Estratto della lettera di Jafar Panahi sullo sciopero della fame

Il produttore aveva iniziato lo sciopero della fame da due giorni, per protestare contro l’atteggiamento del governo che si rifiutava di eseguire la sentenza della Corte penale di Teheran, a lui favorevole. Alla base del suo arresto la manifestazione a sostegno dei colleghi registi Mohammad Rasoulof e Mostafa Al-Ahma, accusati di aver diffuso false informazioni sul Paese all’estero. Così facendo, il regime decise di riattivare una condanna a sei anni in sospeso dal 2010, in cui Panahi fu arrestato per la partecipazione attiva alla Rivoluzione Verde, legata agli scandali sulle elezioni presidenziali di quell’anno. Eppure, la Corte Suprema ha comunicato la caduta in prescrizione del reato, disponendo il rilascio immediato.

La narrazione epistolare conferma le torture mediatiche del regime governativo, che avrebbe accampato ogni scusa pur di prolungare il momento della scarcerazione. Un’ennesima violazione dei diritti umani che unisce ancor di più la solidarietà internazionale nei confronti del combattivo popolo iraniano.